“Quando hanno ancora voglia di fare i coglioni, sono sempre insuperabili”. Molte volte, in questi anni, io e molti altri fans degli Elio e le Storie Tese (EelST) ci siamo ripetuti questo mantra. Scottati e un po’ delusi dalle recenti prove discografiche e da concerti in cui traspariva spesso la loro presenza sul palco come se fosse un lavoro frustrante da portare a termine per puro senso del dovere, riacquistavamo dedizione ed entusiasmo quando si lanciavano in avventure diverse, specie quando traspariva la loro voglia di lavorare come ensemble. Pur con i suoi limiti, l’avventura televisiva del Musichione è stata emblematica in questo senso.
Quando Andrea “Pelle” Pellegrini, mio amico e fan sfegatato degli EelST (nonché fonico eccelso cresciuto alla scuola del leggendario Rodolfo “Foffo” Bianchi) mi ha comunicato, qualche mese fa, che stava lavorando in studio a una parte del nuovo album del complessino, sotto la guida di Foffo, le aspettative sono subito salite alle stelle, anche perché la prima cosa che il Pelle mi disse con entusiasmo incredibile fu: “stanno lavorando tutti insieme, suonano ore ed ore tutti insieme e stiamo registrando tutto”.
Ecco, quello che era mancato agli ultimi dischi in studio degli EelST era proprio questa dimensione di lavoro collettivo, di suonare insieme creando musica bella e divertendosi. Negli ultimi album era molto evidente che le singole parti erano state suonate in tempi diversi e poi assemblate tra loro, con una inevitabile caduta della qualità complessiva del suono dei dischi, indipendentemente da quanto duro lavoro e buona volontà potesse metterci chi i dischi li confezionava. E questa china, in qualche modo, deve essere stata percepita nettamente dagli Elii, che non a caso hanno chiamato come produttore esecutivo del nuovo lavoro quel Claudio Dentes (Otar Bolivecic) che aveva “inventato” il sound degli EelST, producendo i loro lavori dall’esordio del 1989 e per tutto il decennio successivo.
Il cambiamento di metodo ha determinato una svolta nettissima nella qualità del prodotto finale: Figgatta De Blanc (FDB) è un disco superbo, complessivamente (a mio modesto giudizio) il migliore album degli EelST degli ultimi 10-15 anni. Dico “complessivamente” perché alcuni dei limiti emersi nella costruzione delle loro canzoni negli ultimi tempi, primo tra tutti la minore cura riservata alla parte testuale e lirica, non sono del tutto superati in FDB, sebbene il salto in avanti rispetto al disco precedente sia enorme. Si sente, anche in questo caso, come il lavoro collettivo abbia influenzato la nascita dei pezzi e ne abbia determinato un livello qualitativo impressionante. Faccio un esempio: “Parla come mangi”, al momento una delle mie preferite per il suo tiro rock trascinante, non ha un testo strepitoso, anzi. Ma il fatto che ognuno degli Elii ne canti una strofa e aggiunga il suo pezzo al puzzle la rende una canzone che entrerà sicuramente nel cuore dei fan.
C’è un altro aspetto che mi preme sottolineare: il fatto che di questo disco, al momento della sua uscita, fosse nota solo una canzone (“Primo giorno di scuola”, oltre alle due sanremesi eseguite solo un paio di volte al festival), ha reso il suo primo ascolto molto più trepidante rispetto alle ultime volte, quando all’uscita di un album buona parte dei pezzi pubblicati era già stata suonata dal vivo o pubblicata come singolo tra un album e l’altro. Sarà una cosa da fan di musica del secolo scorso, ma io ho ascoltato FDB con orecchio vorace e voglioso di novità. Immagino che anche questa sia una scelta metodologica voluta da chi ha prodotto il disco, e non posso che essergliene grato.
Dal punto di vista della composizione musicale, gli Elio e le Storie Tese non sono secondi a nessuno nell’ambito della musica pop italiana, e questo non devono più dimostrarlo a chicchessia. Quello che rende davvero strepitosa la qualità musicale di FDB è che anche composizioni musicali di notevole complessità siano state pensate, “scritte”, eseguite e registrate con incredibile naturalezza. In FDB c’è una freschezza complessiva del prodotto discografico che non può lasciare indifferenti. Anzi, stupisce al primo ascolto e fa innamorare agli ascolti successivi. In questi giorni ci siamo detti, tra fans: è un disco che appena finisce ti viene voglia di rimetterlo su da capo e riascoltarlo per intero. Anche i pezzi che – inevitabilmente – piacciono meno di altri.
Si parte con l’intro Figgatta De Blanc, a.k.a. “Otar’s back”. Un rimando emblematico all’esordio degli EelST. Non un’autocitazione, ma un manifesto programmatico. Otar, come Vessicchio, ci dice: “Pronti, partenza, via!”
“Vacanza alternativa” parte in sesta marcia: erano anni che non ridevo così dopo solo una parola di una canzone degli EelST. Il pezzo ha un groove trascinante, aspetto che si ripropone più volte nel corso del disco. Elio canta da dio del falsetto e il pezzo è talmente forte che persino la ricetta del risotto ai porcini cantata da una meravigliosa Paola Folli diventa una perla. Diventerà un classico live degli EelST.
“She wants” sarebbe stata la canzone ideale per rappresentare l’Italia all’Eurovision Song Contest (parola di Otar Bolivecic), altro che quella lagnetta cantata dalla Francesca Michielin. Un grandissimo Sergio Antibiotice realizza il sogno da sempre frustrato di Rocco Tanica: fare una canzone sulla sua dolce ossessione del posterior. Una ballata di sapore wonderiano di grandissima classe.
“Parla come mangi”, come già detto, è un rockettone potente e trascinante. Altra canzone che dal vivo farà saltare schiere di fans vecchi e nuovi del complessino. La lunga sequela di termini inglesi sciorinati a fine pezzo da un Mangoni in gran forma è talmente divertente che non si riesce a “skippare” nemmeno al ventesimo ascolto. Prisencolinensinainciusol!
“Il mistero dei bulli” è uno dei punti più alti del disco. Brano scritto oltre 20 anni fa e noto ai fans come una oscura leggenda dal nome in codice “Il ragazzo della via Gluteo” o semplicemente “Gluteo”, vede finalmente la luce arricchito da un testo ricco di sottigliezze, metatesti e giochi di parole nella migliore tradizione EelST di scuola confortiana.
“China disco bar” apre il capitolo del disco dedicato alla Milano di oggi, cosmopolita (a prevalenza sino-lumbard) e caotica come ogni metropoli europea moderna che si rispetti. Il pezzo soffre un po’ il posizionamento dopo l’inizio strepitoso dell’album, ma ne esce tutto sommato bene. Ballabile con gusto.
Su “Il quinto ripensamento” avevo sinceri dubbi. Dopo averla vista e sentita eseguita dal vivo a Sanremo, me ne sono innamorato follemente. Il testo è molto più sottile, pungente e profondo di quanto non appaia in superficie. È una sorta di “Rapporti psicologici nei rapporti tra maturi uomini e mature donne”, in cui la dirompente carica dei vent’anni lascia il posto al gusto dolce-amaro della midlife, accompagnato da uno dei grandi brani pop della musica classica nella sua meravigliosa versione disco anni 70. Straordinaria l’introduzione al pezzo fatta dai Lillo e Greg (grandissimi) di Radio Coatta Classica.
“Bomba intelligente”, come ho già avuto modo di scrivere, vale da solo l’acquisto di 10 copie del cd di FDB. Un pezzo meraviglioso scritto da Francesco “Big” di Giacomo (lo storico cantante del Banco, per chi non lo sapesse) con l’amico Paolo Sentinelli, di cui ha inciso solo la voce su un nastro che è rimasto lì quando Big ha deciso di andare a fare compagnia a Feiez da qualche parte nell’universo. Il fatto che sia finita su questo disco degli EelST grazie all’amico Duccio Pasqua è una cosa che mi riempie il cuore di gioia. Se seguite la storia cantata da “Big” in religioso silenzio e riuscite a non commuovervi durante gli assoli finali del Civas e Mauro Pagani, beh, avete un cuore di pietra.
“Inquisizione” ha il difficilissimo compito di fare riprendere fiato dopo le emozioni di “Bomba Intelligente”, e invece trascina con un’altra botta di groove potentissimo e un testo tra i migliori del disco, non solo per il sottile ma chiarissimo omaggio a uno dei migliori e più famosi sketch dei miei amatissimi Monty Python, ma per il modo in cui affronta il tema dell’oscurantismo religioso. Illuminista e illuminante.
“Ritmo sbilenco” rientra nella categoria della “musica difficile”, così ingiustamente vituperata e di cui gli EelST hanno fornito molte prove sensazionali nella loro carriera. Un prova collettiva di grandissima qualità, puntellata da una superba Paola Folli e arricchita dalla rivelazione al mondo della scoperta della musica “regressive”. A chi mi dice a cosa è riferito lo “A-ha, A-ha” tipico di questa musica, gli offro una birra buona.
“Il rock della tangenziale” è un’occasione persa: il tema della vita alienante passata in coda in macchina avrebbe meritato un pezzo di maggiore spessore. Sarà che non amo J-Ax.
“Cameroon” è la vera canzone “difficile” di questo album. Nel senso che è talmente bella e talmente perfetta nella sua musicale africanità che non sembra essere suonata da musicisti europei. Testo non memorabile, per quanto divertente, ma un ritmo che schiaccia come il piedone di un elefante ;). Non so se sia un pregio o un difetto, a me sembra più un pezzo del Trio Bobo che non degli EelST.
“I delfini nuotano”, a un primo ascolto, potrebbe sembrare una cazzata buttata lì per riempire il disco. E invece è una delle cose più divertenti e intelligenti realizzate dagli EelST nella loro intera carriera. Se qualcuno mi spiega il senso dell’inciso del pinolo, tuttavia, mi fa un gran piacere. Allucinante, ma profondo come il mare.
“Il primo giorno di scuola” è stato – forse ingiustamente – uno dei pezzi che io ho maggiormente criticato dell’intera produzione EelST. Il brano è musicalmente molto bello, l’argomento trattato potenzialmente bellissimo, ma il modo in cui è trattato me lo rende, ancora oggi, francamente insopportabile. Ed è un peccato, un peccato davvero. Ma in un disco così bello fa la sua dignitosa presenza anche questa canzone.
“Vincere l’odio” non ha avuto la fortuna che meritava al Festival di Sanremo. Forse il fatto di essere tornati al festival “appena” 3 anni dopo gli strepitosi show offerti con la Canzone Mononota (e con Un amore piccolissimo insieme a Rocco Siffredi) ha reso le loro performance di quest’anno “scontate” e ripetitive agli occhi del grande pubblico. Ma il pezzo resta a mio modo di vedere fantastico, una fenomenale parodia dei medley di successi di cantanti agé che si vedono in continuazione in tv, con gli applausi che scattano quando il pubblico riconosce la vecchia hit dopo le prime note. Troppa sottigliezza, forse, per la platea televisiva sanremese. Una sfida persa solo in apparenza: forse non resterà nell’immaginario collettivo come “La terra dei cachi”, ma “Vincere l’odio” resta un piccolo gioiello. Chapeau.
Elio e le Storie Tese
Figgatta De Blanc
Hukapan 2016
Comincio da un disco che aspettavo da molto tempo, qualche anno ormai… Ammetto subito di essere prevenuto in senso positivo riguardo questo artista, che ho avuto la fortuna di conoscere personalmente in uno strano momento della sua vita, in cui faceva base a Roma e cantava ogni tanto in giro per alcuni locali, illuminandoli ogni volta con la sua formidabile presenza scenica e la sua sorprendente potenza vocale.
Un giorno, poi, com’era apparso, Percival Duke è sparito di nuovo, tornato nella sua patria d’adozione, quella Germania in cui era approdato parecchi anni prima, lui statunitense texano con sangue nativo americano nelle vene e uno spirito libero decisamente incompatibile con il "clima" dello stato dalla stella solitaria.
In Germania Percival partecipa al talent show The Voice of Germany, dove le sue performance live di pezzi come Seven Nation Army dei White Stripes e soprattutto Hedonism degli Skunk Anansie entrano nelle classifiche ufficiali degli store digitali, aprendogli la strada per la pubblicazione del suo primo album, Never Shut Up!, che da pochi giorni ho finalmente per le mani.
Percival Duke è a mio modestissimo avviso un artista incredibile, un cantautore sensibilissimo e un rocker spaccaculi di primissimo ordine. Never Shut Up! è un concentrato di queste sue qualità; il disco è stato interamente registrato live in studio, per rendere al meglio quella che resta indubbiamente la sua migliore dimensione artistica. È un album che ti “taglia come un coltello”, ma di fronte al quale non si riesce a fuggire, autobiografico come ogni album d’esordio che si rispetti, ma le cui storie narrano di percorsi umani in cui è facile identificarsi e che mettono voglia di passare una serata seduti a chiacchierare con lui, davanti a un buon bicchiere di vino o di birra.
La sua musica è un rock essenziale, diretto, che sa spaziare dai colori tenui a quelli graffianti e vibranti, con una spiccata tendenza al pop, dove per pop intendo la capacità di arrivare immediatamente alle orecchie e al cuore di chi lo ascolta e lo guarda.
È un album in crescendo, con un livello qualitativo molto alto che prende il decollo di pezzo in pezzo; segnalo il singolo “The Knife”, impossibile non canticchiarne il refrain già dopo il primo ascolto; “NNNN” (che sta per NeoNaziNextdoorNeighbour), probabilmente il suo pezzo che amo di più, tra i primissimi che gli ho sentito cantare dal vivo; la toccante “His Majesty”, dedicata a tutti coloro che da bambini hanno subito abusi in famiglia; la conclusiva “Big Girl”, che continua a torcermi le budella ad ogni ascolto.
Percival è pronto a conquistare il mondo: volete lasciarvelo scappare così?
Percival
Never Shut Up!
Lo trovate in ascolto su Spotify, il cd lo potete acquistare sul negozio tedesco di Amazon.
Non spegnete il cervello. Come dice Pippo Civati, le cose si cambiano, cambiandole. Quando voterete per le elezioni Europee, l'anno prossimo, pensate bene a chi votate e a cosa propone per cambiarlo, questo continente-fortezza sempre meno umano.
]]>Dal momento della stretta di mano tra Letta ed Alfano – che gli eccezionali titolisti del Manifesto hanno prontamente ribattezzato “Scudo Incrociato” – è stato un florilegio di nostalgici amarcord sui bei tempi in cui l’economia cresceva (mentre si distruggeva l’Italia e se ne minava per sempre l’equilibrio idro-geologico), il governo della nazione era stabile (anche se i culi sopra le poltrone cambiavano ogni 6 mesi in un eterno balletto danzato sempre sulla stessa musica), la gente era ottimista (ma la polizia sparava e uccideva chi scioperava per avere condizioni di vita e di lavoro meno umilianti).
È significativo che Enrico Letta, ieri, abbia citato proprio il periodo tra la nascita della Repubblica e il 1968 come l’era felice della storia italiana. Come dire che l’Italia buona può solo essere l’Italia asservita al potere democristiano, al limite fiancheggiato da un partito socialista piccolo e sostanzialmente succube.
Sono troppo giovane per avere nostalgia degli anni ’70, di cui ricordo anche io soprattutto le bombe fasciste e gli omicidi del partito armato; ma gli anni tra il 1968 e il 1978 hanno rappresentato, probabilmente, l’unico momento della storia italiana in cui la dimensione collettiva, la sensazione di essere parte di una comunità diversa e più ampia di quella della propria famiglia, sia riuscita a sfidare a viso aperto l’individualismo egoista e il familismo amorale così tipici dell’essere italiano. Venendone sconfitta in maniera feroce, brutale, definitiva.
Non ci sono vie di mezzo: l’Italia può solo essere democristiana o fascista. Mettiamocelo in testa una volta per tutte, cerchiamo di convivere con questa verità e facciamocene una ragione.
]]>Quindi se la propria professione, anche superati i 50 anni, resta quella di fare il musicista e di apparire sui media per promuovere in qualche modo la propria immagine, è inevitabile che nella cerchia dei propri “fans” si verranno a trovare anche persone che fanno della raccolta di immagini registrate con i moderni mezzi multimediali una vera e propria ragione d’essere. Può non piacere, ma fa parte del gioco e va accettato con un sorriso e con tanta, tanta pazienza. A meno che non si scelga una strada tipo J.D.Salinger o Mina, opzione dignitosa e con alcuni indubbi svantaggi, ma sempre considerabile.
Io sono ancora tra quei residui romantici che crede che il rapporto tra artista e fan costituisca la migliore base per la creazione di un pubblico fedele che ti seguirà sempre e comunque. È questo, del resto, uno dei motivi che mi ha legato per tanti anni, quasi 25 ormai, a Elio e le Storie Tese. E sebbene questo rapporto si sia obiettivamente già affievolito negli anni, anche e soprattutto per l’intervenuta assenza di una figura di intermediazione tra band e fans (soprattutto cosciente ed entusiasta del suo ruolo), devo dire che mi ha molto colpito la presenza nel nuovo album degli EelST di ben due brani in cui si inveisce contro questo aspetto dell’appartenere (per scelta propria, è sempre bene ricordarlo) a una categoria professionale di persone esposte, e quindi note, e quindi soggette al desiderio di essere oggetto di foto e video da parte dei fans… oppure oggetto delle attenzioni di gente che a sua volta caga il cazzo per professione e cerca in ogni modo un contatto con l’artista famoso.
È un tema molto riconoscibile, quello dell’insofferenza, ne “L’Album Biango”, settimo lavoro di inediti in studio degli EelST in 24 anni di carriera discografica. Non solo nei due pezzi a cui ho fatto cenno sopra (“Lampo” e “Il Tutor di Nerone”), ma anche in altri pezzi come l’osannato singolo apripista “Complesso del Primo Maggio” o la sanremese “La Canzone Mononota”, in cui oggetto del malcelato fastidio della band sono in varia misura colleghi musicisti e altre persone impegnate nello stesso campo professionale; oppure in “Una sera con gli amici”, in cui si constata un po’ catalanamente che gli amici son sempre pronti a (s)parlare alle spalle degli assenti.
Il disco, complessivamente bello e gradevole da ascoltare, in verità di totalmente inedito ha abbastanza poco, specie per chi ha visto la band dal vivo almeno una volta negli ultimi due anni. Oltre ai brani presentati all’ultimo festival di Sanremo, di cui ho già parlato qui, nell’album trovano posto pezzi già eseguiti dal vivo: la bellissima "Come gli Area", introdotta da un pezzo strumentale suonato dagli stessi Area, intitolato enigmisticamente (nel senso della Settimana Enigmistica) “Reggia (base per altezza)”, che paradossalmente è a mio parere il momento più emozionante dell’intero lavoro; "Enlarge (your penis)", pezzo dalla struttura musicale davvero considerevole, ma un po’ impoverito da un testo il cui tema mi sembra affrontato largamente fuori tempo massimo; "Il ritmo della sala prove", simpatico amarcord dei garage days della band, impreziosito dall’armonica del Puma di Lambrate.
Il resto, ciò che è del tutto inedito, che per un vero fan rappresenta il principale motivo di gioia nel momento dell'uscita di un disco nuovo, scivola via senza grandi sussulti, purtroppo. Oltre alle già citate "Lampo", "Il tutor di Nerone" e "Una sera con gli amici", non mi hanno entusiasmato né l'auto-cover "Amore amorissimo" né “Lettere dal www”, blanda introduzione a “Enlarge” che suscita impietosi paragoni al gusto di sfacciottino di Papà Barzotti.
Discorso a parte merita, a mio modestissimo avviso, "Luigi il Puglista", brano dalla classica struttura di canzone melodica sanremese, scritto suonato ed arrangiato così bene che, come mi ha detto un caro amico, se lo avesse cantato Tiziano Ferro (con un testo diverso, ma non necessariamente) sarebbe rimasto in classifica un anno intero senza problemi. Se poi questo sia un pregio o un difetto lo lascio decidere a voi: non c'è dubbio però che il pezzo stia una bella spanna e mezza sopra gli altri.
Infine merita menzione "A Piazza San Giovanni", interpretata con meravigliosa enfasi finardiana da (toh!) Eugenio Finardi, che contiene quello che per me è il verso più bello dell'album: "...perché il biglietto del concerto del primo maggio è un omaggio.".
Dei 70 minuti complessivi del cd, tolti i circa 13 minuti di ghost track e un 6/7 minuti totali di intermezzi (sui quali non mi esprimo per carità di patria), restano una cinquantina di minuti di produzione; dieci minuti per ogni anno trascorso dalla pubblicazione di Studentessi. Non voglio farne necessariamente una questione di quantità, ma è un parametro che indica chiaramente il livello di priorità che un album di inediti in studio riveste in questi anni per i componenti degli EelST.
Termino queste righe con un auspicio: ieri, durante la conferenza stampa di presentazione del disco, Elio ha letto una lettera di Rocco Tanica, da qualche settimana assente sia durante i concerti (vi assicuro che la tastiera montata e vuota sul palco del PalaBAM di Mantova dove li ho visti sabato scorso faceva davvero impressione) che durante gli altri appuntamenti pubblici della band. La letterina dice (la riporto così come pubblicata sul sito di Rolling Stone Magazine): “Cari tutti, vorrei spiegare la mia assenza da concerti ed eventi promozionali. Vorrei precisare che non ci sono contrasti con i miei amici e colleghi. Ma solo la necessità di un periodo di tempo da dedicare esclusivamente a questioni personali e private per me importanti. Conto di affrontare nuove mirabolanti avventure insieme al miglior complessino che io conosca: i Rolling Stones. Se mi prendono. Ma anche gli Elio & le Storie Tese vanno bene lo stesso”.
Ecco, io spero davvero che i Rolling Stones non prendano Rocco Tanica tra le loro fila! Anzi, vorrei rivolgergli un caloroso appello: non farlo Rocco, mandali affanculo, gli Stones! Elio e le Storie Tese senza di te sono come una meravigliosa scultura in una stanza completamente buia: sai che è lì, sai che è bellissima, ma senza luce non puoi fare altro che immaginarla!
Elio e le Storie Tese
L’Album Biango
Hukapan 2013
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