Voglio essere chiuso in una gabbia con il pavimento di vetro blindato e indistruttibile, con le sbarre di acciaio spesse e a prova di acido o di limetta per le unghie.
Voglio che la gabbia venga sollevata e sospesa appena sotto la linea di transito degli Airbus 300, che passando mi dondolino e mi facciano credere di essere ancora vivo.
Voglio un binocolo per guardare a terra, potente come una zoomata di Google Earth, per vedere il paese che avrò lasciato e che non rimpiangerò nemmeno per un momento.
Voglio un chip impiantato nel cervello, che funzioni come le notifiche di Facebook, che mi sappia avvertire in tempo reale delle nefandezze che stanno per accadere sotto i miei occhi.
Voglio vedere l’ennesimo stupro consumato in casa da un marito rabbioso o in strada da un branco di infami disperati; voglio vedere la “ggente” che invoca il linciaggio (ma, chissà perché, quasi mai per i mariti rabbiosi) e se ne fotte della civiltà; voglio vedere se c’è ancora qualcuno a cui importa qualcosa della legge e del diritto (a parte i radicali); voglio vedere il prossimo immigrato nero o giallo o bianco, africano o asiatico o sudamericano, picchiato e bruciato vivo nella quasi totale indifferenza; voglio vedere quelli che si ostinano a non considerare razziste queste azioni di squadrismo idiota e tossico.
Voglio vedere tutto questo, ma da là sopra, come se fossi al cinema, e pensare che in fondo, nonostante il freddo e le correnti d’aria create dagli Airbus, si sta meglio lassù.
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