Ci sono cose su cui non è lecito scherzare. Verità storiche, documentate da testimoni diretti, che non possono essere messe in discussione da storici e storiografi da strapazzo, accecati dall’ideologia e dalla loro volontà manipolatoria.
Solo un manipolo di trinariciuti comunistacci – di quelli che ancora oggi dormono solo se avvolti in una lisa e rattoppata bandiera sovietica – poteva continuare a negare il fatto che Antonio Gramsci si fosse redento e avesse trovato la vera Fede (che non è la mano amica) prima di andarsene da questa Terra. La testimonianza delle suore che lo hanno assistito fino alla fine è inconfutabile: peccato che avessero la macchinetta digitale scarica proprio mentre il buon Antonio baciava l’immaginetta sacra del Bambino Gesù. Ma esse, povere sante ed ingenue donne, potevano mai credere che la loro testimonianza potesse essere messa in dubbio?
Le forze oscure della manipolazione storiografica non conoscono confini, sono la vera Spectre di questi tempi. Chi avrà mai il coraggio di rivelare al mondo, per esempio, che Adolf Hitler, poche ore prima del suicidio, fu visto aggirarsi nel suo bunker berlinese vestito da rabbino, con tanto di kippah sul capo, tenendo in mano una menorah d’oro e cantando a squarciagola “Evenu Shalom Alejem”? La testimonianza in tal senso di Karl Heinz Von Schwanzkopf, ex SS-Obergruppenführer, attendente dei gatti persiani di razza purissima del Führer, convertitosi dopo la guerra all’ebraismo ashkenazita e divenuto tagliatore di diamanti ad Anversa, è assolutamente inattaccabile! Lo dimostrano le sue memorie apocrife, rinvenute in circostanze misteriose in una cella frigorifera della macelleria del villaggio belga di Tourpes. Ma questa verità rimane sepolta sotto un cumulo di fetide menzogne. Del resto, continuare a dipingere Hitler come il più cattivo tra i cattivi cattivissimi fa un po’ comodo a tutti, diciamocelo...
Per non parlare dell’inascoltabile silenzio che nasconde la verità sulla fine del Mahatma Gandhi, che venne abbattuto a fucilate per disperazione dopo essersi reso protagonista della strage di centinaia di bramini inermi e vacche sacre, massacrati a colpi alternati di machete e scarpini chiodati da calcio, gridando bestemmie irripetibili a tutti gli dei dell’universo e rotolandosi nel sangue delle sue vittime, riservando lo stesso trattamento a chiunque cercasse di fermarlo. “Profeta della non-violenza un bel paro de ciufoli, quello era il vero Gandhi”, testimonia Arvinamandra Singhultanghar (il nome di fantasia serve a preservare la sua incolumità), intrecciatore di paglia e unico spettatore ancora vivente di quello spietato ed efferato eccidio. “Ho intrecciato ogni giaciglio su cui il Mahatma abbia poggiato le terga negli ultimi decenni della sua vita”, aggiunge Singhultanghar, “e vi posso garantire che il suo percorso nel Dharma è stato costellato di momenti che potevano far intuire il destino ultra-violento verso cui egli stava marciando”. Non aggiunge altro il nostro testimone, ma c’è davvero bisogno d'altro? Chi chiede fatti, oltre a queste inconfutabili parole, è solo un prevenuto. Chi chiede i fatti è solo che un pusher.
La verità inconfessabile è che spesso, di fronte alla morte imminente, le persone mostrano la loro parte più vera, quella magari rimasta nascosta per tutta la vita. Il perché questo accada, è un mistero che deve restare tale, per il bene dell’umanità. La grande filosofa e nobildonna franzosa Valentine Coquettes de la Tour Vielle, da noi interrogata in merito, ci ha svelato la sua teoria, bisbigliandoci in un’orecchia mentre furtiva si assicurava che nessuno ci sentisse: “ È che sbrocchi, quanno stai a morì!”.