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 Sleeping Track... di Tracca
 
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And crawling on the planet's face, some insects called the human race, lost in time and lost in space and meaning.

Richard O' Brian, "The Rocky Horror Picture Show"
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Di Tracca (del 16/02/2016 @ 18:07:28, in Il CritiCapone, linkato 1542 volte)

“Quando hanno ancora voglia di fare i coglioni, sono sempre insuperabili”. Molte volte, in questi anni, io e molti altri fans degli Elio e le Storie Tese (EelST) ci siamo ripetuti questo mantra. Scottati e un po’ delusi dalle recenti prove discografiche e da concerti in cui traspariva spesso la loro presenza sul palco come se fosse un lavoro frustrante da portare a termine per puro senso del dovere, riacquistavamo dedizione ed entusiasmo quando si lanciavano in avventure diverse, specie quando traspariva la loro voglia di lavorare come ensemble. Pur con i suoi limiti, l’avventura televisiva del Musichione è stata emblematica in questo senso.

Quando Andrea “Pelle” Pellegrini, mio amico e fan sfegatato degli EelST (nonché fonico eccelso cresciuto alla scuola del leggendario Rodolfo “Foffo” Bianchi) mi ha comunicato, qualche mese fa, che stava lavorando in studio a una parte del nuovo album del complessino, sotto la guida di Foffo, le aspettative sono subito salite alle stelle, anche perché la prima cosa che il Pelle mi disse con entusiasmo incredibile fu: “stanno lavorando tutti insieme, suonano ore ed ore tutti insieme e stiamo registrando tutto”.

Ecco, quello che era mancato agli ultimi dischi in studio degli EelST era proprio questa dimensione di lavoro collettivo, di suonare insieme creando musica bella e divertendosi. Negli ultimi album era molto evidente che le singole parti erano state suonate in tempi diversi e poi assemblate tra loro, con una inevitabile caduta della qualità complessiva del suono dei dischi, indipendentemente da quanto duro lavoro e buona volontà potesse metterci chi i dischi li confezionava. E questa china, in qualche modo, deve essere stata percepita nettamente dagli Elii, che non a caso hanno chiamato come produttore esecutivo del nuovo lavoro quel Claudio Dentes (Otar Bolivecic) che aveva “inventato” il sound degli EelST, producendo i loro lavori dall’esordio del 1989 e per tutto il decennio successivo.

Il cambiamento di metodo ha determinato una svolta nettissima nella qualità del prodotto finale: Figgatta De Blanc (FDB) è un disco superbo, complessivamente (a mio modesto giudizio) il migliore album degli EelST degli ultimi 10-15 anni. Dico “complessivamente” perché alcuni dei limiti emersi nella costruzione delle loro canzoni negli ultimi tempi, primo tra tutti la minore cura riservata alla parte testuale e lirica, non sono del tutto superati in FDB, sebbene il salto in avanti rispetto al disco precedente sia enorme. Si sente, anche in questo caso, come il lavoro collettivo abbia influenzato la nascita dei pezzi e ne abbia determinato un livello qualitativo impressionante. Faccio un esempio: “Parla come mangi”, al momento una delle mie preferite per il suo tiro rock trascinante, non ha un testo strepitoso, anzi. Ma il fatto che ognuno degli Elii ne canti una strofa e aggiunga il suo pezzo al puzzle la rende una canzone che entrerà sicuramente nel cuore dei fan.

C’è un altro aspetto che mi preme sottolineare: il fatto che di questo disco, al momento della sua uscita, fosse nota solo una canzone (“Primo giorno di scuola”, oltre alle due sanremesi eseguite solo un paio di volte al festival), ha reso il suo primo ascolto molto più trepidante rispetto alle ultime volte, quando all’uscita di un album buona parte dei pezzi pubblicati era già stata suonata dal vivo o pubblicata come singolo tra un album e l’altro. Sarà una cosa da fan di musica del secolo scorso, ma io ho ascoltato FDB con orecchio vorace e voglioso di novità. Immagino che anche questa sia una scelta metodologica voluta da chi ha prodotto il disco, e non posso che essergliene grato.

Dal punto di vista della composizione musicale, gli Elio e le Storie Tese non sono secondi a nessuno nell’ambito della musica pop italiana, e questo non devono più dimostrarlo a chicchessia. Quello che rende davvero strepitosa la qualità musicale di FDB è che anche composizioni musicali di notevole complessità siano state pensate, “scritte”, eseguite e registrate con incredibile naturalezza. In FDB c’è una freschezza complessiva del prodotto discografico che non può lasciare indifferenti. Anzi, stupisce al primo ascolto e fa innamorare agli ascolti successivi. In questi giorni ci siamo detti, tra fans: è un disco che appena finisce ti viene voglia di rimetterlo su da capo e riascoltarlo per intero. Anche i pezzi che – inevitabilmente – piacciono meno di altri.

Si parte con l’intro Figgatta De Blanc, a.k.a. “Otar’s back”. Un rimando emblematico all’esordio degli EelST. Non un’autocitazione, ma un manifesto programmatico. Otar, come Vessicchio, ci dice: “Pronti, partenza, via!”

“Vacanza alternativa” parte in sesta marcia: erano anni che non ridevo così dopo solo una parola di una canzone degli EelST. Il pezzo ha un groove trascinante, aspetto che si ripropone più volte nel corso del disco. Elio canta da dio del falsetto e il pezzo è talmente forte che persino la ricetta del risotto ai porcini cantata da una meravigliosa Paola Folli diventa una perla. Diventerà un classico live degli EelST.

“She wants” sarebbe stata la canzone ideale per rappresentare l’Italia all’Eurovision Song Contest (parola di Otar Bolivecic), altro che quella lagnetta cantata dalla Francesca Michielin. Un grandissimo Sergio Antibiotice realizza il sogno da sempre frustrato di Rocco Tanica: fare una canzone sulla sua dolce ossessione del posterior. Una ballata di sapore wonderiano di grandissima classe.

“Parla come mangi”, come già detto, è un rockettone potente e trascinante. Altra canzone che dal vivo farà saltare schiere di fans vecchi e nuovi del complessino. La lunga sequela di termini inglesi sciorinati a fine pezzo da un Mangoni in gran forma è talmente divertente che non si riesce a “skippare” nemmeno al ventesimo ascolto. Prisencolinensinainciusol!

“Il mistero dei bulli” è uno dei punti più alti del disco. Brano scritto oltre 20 anni fa e noto ai fans come una oscura leggenda dal nome in codice “Il ragazzo della via Gluteo” o semplicemente “Gluteo”, vede finalmente la luce arricchito da un testo ricco di sottigliezze, metatesti e giochi di parole nella migliore tradizione EelST di scuola confortiana.

“China disco bar” apre il capitolo del disco dedicato alla Milano di oggi, cosmopolita (a prevalenza sino-lumbard) e caotica come ogni metropoli europea moderna che si rispetti. Il pezzo soffre un po’ il posizionamento dopo l’inizio strepitoso dell’album, ma ne esce tutto sommato bene. Ballabile con gusto.

Su “Il quinto ripensamento” avevo sinceri dubbi. Dopo averla vista e sentita eseguita dal vivo a Sanremo, me ne sono innamorato follemente. Il testo è molto più sottile, pungente e profondo di quanto non appaia in superficie. È una sorta di “Rapporti psicologici nei rapporti tra maturi uomini e mature donne”, in cui la dirompente carica dei vent’anni lascia il posto al gusto dolce-amaro della midlife, accompagnato da uno dei grandi brani pop della musica classica nella sua meravigliosa versione disco anni 70. Straordinaria l’introduzione al pezzo fatta dai Lillo e Greg (grandissimi) di Radio Coatta Classica.

“Bomba intelligente”, come ho già avuto modo di scrivere, vale da solo l’acquisto di 10 copie del cd di FDB. Un pezzo meraviglioso scritto da Francesco “Big” di Giacomo (lo storico cantante del Banco, per chi non lo sapesse) con l’amico Paolo Sentinelli, di cui ha inciso solo la voce su un nastro che è rimasto lì quando Big ha deciso di andare a fare compagnia a Feiez da qualche parte nell’universo. Il fatto che sia finita su questo disco degli EelST grazie all’amico Duccio Pasqua è una cosa che mi riempie il cuore di gioia. Se seguite la storia cantata da “Big” in religioso silenzio e riuscite a non commuovervi durante gli assoli finali del Civas e Mauro Pagani, beh, avete un cuore di pietra.

“Inquisizione” ha il difficilissimo compito di fare riprendere fiato dopo le emozioni di “Bomba Intelligente”, e invece trascina con un’altra botta di groove potentissimo e un testo tra i migliori del disco, non solo per il sottile ma chiarissimo omaggio a uno dei migliori e più famosi sketch dei miei amatissimi Monty Python, ma per il modo in cui affronta il tema dell’oscurantismo religioso. Illuminista e illuminante.

“Ritmo sbilenco” rientra nella categoria della “musica difficile”, così ingiustamente vituperata e di cui gli EelST hanno fornito molte prove sensazionali nella loro carriera. Un prova collettiva di grandissima qualità, puntellata da una superba Paola Folli e arricchita dalla rivelazione al mondo della scoperta della musica “regressive”. A chi mi dice a cosa è riferito lo “A-ha, A-ha” tipico di questa musica, gli offro una birra buona.

“Il rock della tangenziale” è un’occasione persa: il tema della vita alienante passata in coda in macchina avrebbe meritato un pezzo di maggiore spessore. Sarà che non amo J-Ax.

“Cameroon” è la vera canzone “difficile” di questo album. Nel senso che è talmente bella e talmente perfetta nella sua musicale africanità che non sembra essere suonata da musicisti europei. Testo non memorabile, per quanto divertente, ma un ritmo che schiaccia come il piedone di un elefante ;). Non so se sia un pregio o un difetto, a me sembra più un pezzo del Trio Bobo che non degli EelST.

“I delfini nuotano”, a un primo ascolto, potrebbe sembrare una cazzata buttata lì per riempire il disco. E invece è una delle cose più divertenti e intelligenti realizzate dagli EelST nella loro intera carriera. Se qualcuno mi spiega il senso dell’inciso del pinolo, tuttavia, mi fa un gran piacere. Allucinante, ma profondo come il mare.

“Il primo giorno di scuola” è stato – forse ingiustamente – uno dei pezzi che io ho maggiormente criticato dell’intera produzione EelST. Il brano è musicalmente molto bello, l’argomento trattato potenzialmente bellissimo, ma il modo in cui è trattato me lo rende, ancora oggi, francamente insopportabile. Ed è un peccato, un peccato davvero. Ma in un disco così bello fa la sua dignitosa presenza anche questa canzone.

“Vincere l’odio” non ha avuto la fortuna che meritava al Festival di Sanremo. Forse il fatto di essere tornati al festival “appena” 3 anni dopo gli strepitosi show offerti con la Canzone Mononota (e con Un amore piccolissimo insieme a Rocco Siffredi) ha reso le loro performance di quest’anno “scontate” e ripetitive agli occhi del grande pubblico. Ma il pezzo resta a mio modo di vedere fantastico, una fenomenale parodia dei medley di successi di cantanti agé che si vedono in continuazione in tv, con gli applausi che scattano quando il pubblico riconosce la vecchia hit dopo le prime note. Troppa sottigliezza, forse, per la platea televisiva sanremese. Una sfida persa solo in apparenza: forse non resterà nell’immaginario collettivo come “La terra dei cachi”, ma “Vincere l’odio” resta un piccolo gioiello. Chapeau.

Elio e le Storie Tese
Figgatta De Blanc
Hukapan 2016

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