Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Vorrei provare a mettere in fila i pensieri che via via hanno affollato la mia testa da sabato pomeriggio, anche se non sarà facile e sicuramente cadrò più volte in contraddizione. Parto però raccontando quello che ho visto con i miei occhi.
Sabato ero a pranzo in Via Urbana, a pochi passi da Via Cavour, con un amico arrivato da Siena per un weekend romano. Dopo aver finito di mangiare abbiamo deciso di andare a vedere il corteo sfilare. La polizia aveva già blindato tutti i passaggi lungo il percorso, lasciando solo un piccolissimo varco vicino Largo Corrado Ricci, dove poteva passare solo una persona alla volta sotto gli occhi di celerini piuttosto scoglionati.
Comunque, senza grosse difficoltà, alle 14.30 ero in Largo Ricci, alla fine di Via Cavour, subito prima della grande curva che immette in Via dei Fori Imperiali. C’era sole, faceva caldo, la testa del corteo era a pochi metri da noi e lentamente avanzava. Colori, suoni, tamburi, slogan, facce preoccupate ma tranquille, voglia di far sentire la propria voce. La testa del corteo aveva appena girato l’angolo per concedersi la vista del Colosseo, quando 250 metri più in su, all’incrocio con Via dei Serpenti (uno dei punti maggiormente presidiati dai blindati di Polizia e Carabinieri, dato che lì dietro si trova la casa del Presidente Napolitano e a pochi passi c’è la sede della Banca d’Italia), si sentono alcuni forti rumori e iniziano a levarsi fiamme e una colonna di denso fumo nero. Il corteo prosegue il suo cammino, si crea un vuoto tra chi è già sfilato e i teppisti che stanno dando inizio al pomeriggio di ordinaria devastazione. Io e il mio amico restiamo impietriti a guardare gli incendi (che sono diventati due), le colonne di fumo nero e l’apparente indifferenza a tutto questo sia dell’enorme fiumana umana che forma il resto del corteo sia delle forze dell’ordine, che ci sembra non stiano reagendo in alcun modo.
Alle 15.10 arrivano i pompieri a spegnere le auto incendiate in Via Cavour e dopo pochi minuti il cosiddetto “blocco nero” si presenta ai miei occhi in due momenti: dapprima un ragazzo incappucciato e isolato si scaglia contro un’indifesa pompa di benzina AGIP, colpendola più volte con un’asta di ferro, causando danni visibili ma senza comprometterne in nessun modo la struttura. Un assalto mordi e fuggi, dieci mazzate assestate a vetri e plastiche e via, rientro tra le fila del corteo. Pochi istanti dopo il “blocco nero” arriva in Largo Ricci. Ai miei occhi appaiono come uno schieramento compatto di poche centinaia di persone, intruppati però in maniera quasi militare, come i militanti di Autonomia Operaia che ho visto sfilare tanti anni fa, quando ero ancora a scuola. Quelli incappucciati e vestiti di nero sono però pochi, non più di 100. Due ragazzi molto giovani si fermano a pochi passi da me: aiutati da un terzo già “in divisa”, indossano una felpa nera, anfibi neri e pesanti, un casco da motorino di quelli che a Roma chiamiamo “a scodella” e dagli zaini estraggono mazze, non so se di legno o di ferro. Se avessi avuto un po’ di coraggio avrei preso una delle fioriere che erano accanto a me e gliela avrei scagliata in testa. Avrei voluto gridare loro di andare affanculo, che li odio e che sono delle teste di cazzo, ma mi è bastato incrociare lo sguardo con uno dei due per un secondo per vederci dentro talmente tanto odio e determinazione che ho fatto un passo indietro e sono stato zitto. Il martirio, del resto, non è una mia aspirazione. Pochi istanti dopo il “blocco nero” volta l’angolo e si immette in Via dei Fori Imperiali. Tra loro e i primi manifestanti davanti a loro ci sono almeno 200 metri di distanza. Tra loro e i primi manifestanti dietro a loro ci sono oltre 100 metri di distanza. A pochi metri ci sono i blindati che bloccano fisicamente il passaggio verso Piazza Venezia. Immagino siano pieni di agenti in stato di allerta. Guardo il mio amico e ci chiediamo all’unisono e ad alta voce: “Ma perché non interviene nessuno? Hanno intenzione di lasciarli andare avanti?”. A quel punto era evidente che il “blocco nero” si stava preparando allo scontro e alla devastazione del corteo, della manifestazione, del pomeriggio di sole e lotta, della città. Era evidente che quello stava per trasformarsi nel “loro” pomeriggio. Poche centinaia che annichiliscono 250.000 persone e l’intero apparato di polizia del paese. Tristemente, pieno di pensieri cupissimi, lascio Largo Ricci e mescolato a tanti turisti un po’ spaesati ma per niente impauriti mi metto in fila per passare nuovamente dal piccolo varco presidiato dalla celere; alle 15.45 esco, torno a Piazza Venezia, vado via. Quello che è successo dopo l’ho visto su Rai News a partire dalle 17.45 circa ed è stato narrato infinite volte in questi giorni.
Come dicevo all’inizio, in questi giorni ho pensato tante cose, spesso in contraddizione tra loro. Le metto in ordine senza alcuna pretesa di verità, come puri spunti di riflessione.
1) Io ero in uno dei punti strategici del percorso del corteo; non ho visto intorno a me nemmeno un poliziotto, né in divisa né in borghese (come si fa a riconoscere un poliziotto in borghese? si fa, credetemi, si fa…). In quel momento si erano create tre condizioni tattiche ideali: l’isolamento del “blocco nero” dal resto del corteo; l’allargamento della strada, che poteva favorire la presenza massiccia di polizia e carabinieri pronti all’intervento; la presenza dei blindati che bloccavano l’accesso verso il centro città. Inoltre il “casus belli” c’era già stato (le auto incendiate, il supermercato devastato e le vetrine sfondate a Via Cavour). A mio modestissimo avviso sarebbe bastato schierare uomini in divisa per isolare davanti e dietro il “blocco nero” e mandare un reparto molto preparato ad affrontarli per fermarli prima che la loro presenza, ormai divenuta palese, portasse a tutto quello che è successo dopo. Non ci voleva uno stratega dalla mente raffinatissima, bastava avere giocato qualche volta a “Corteo” (il gioco da tavola).
Cosa mi viene da pensare? Che le nostre forze dell’ordine sono ormai ridotte così a pezzi da non sapere più nemmeno addestrare i propri uomini alla gestione di un gruppo di teppisti; che le stesse non sono più in grado di “leggere” gli avvenimenti di un corteo in cui si infiltra una frangia determinata e violenta; che non sanno agire celermente di conseguenza. E lascio aperti tutti i discorsi sulla dietrologia, sul “cui prodest”, sulla presenza o assenza di infiltrati. È ovvio che di fronte a questa gestione scellerata dell’ordine pubblico ci si chieda se essa sia dovuta a connivenza o incapacità.
Condivido il timore dell’amico Guglielmo, che ha scritto lunedì: “Quando 800 imbecilli riescono a mettere a ferro e fuoco una città e a far morire alla nascita un movimento, il segnale è che 8000, armati e motivati, si potrebbero prendere un paese. Se non è lo stato che risponde in maniera decisa a questo problema (e la repressione non basta), non può essere nessun altro. Ecco il mio timore, lo stato che ha abdicato alla sua funzione di gestione dell'ordine sociale. Filiamo dritti dritti verso una nuova forma di fascismo.”.
2) La mia reazione istintiva nei confronti del “blocco nero”, l’ho detto, è di rifiuto, rabbia e odio. Perché sono da sempre convinto che la violenza generi solamente reazione e repressione, che chi distrugge vetrine e incendia automobili rappresenti da sempre la migliore polizza assicurativa di chi vuole perpetuare un sistema economico e sociale che arricchisce poche e impoverisce molti, che riversa sulla collettività le follie e i costi di operazioni finanziarie fatte col miraggio di profitti enormi e che invece spesso portano alla rovina nazioni intere senza scalfire né il loro potere né le loro ricchezze.
Io sono convinto che la violenza non serva a un cazzo.
Ma riprendo le amarissime parole di Alessandro Capriccioli pubblicate domenica sul suo eccellente blog “Metilparaben”: “Volete innalzare barricate, mettere a ferro e fuoco la città, seminare il caos? Be', io sono convinto che i mezzi prefigurino i fini, e quindi penso che comunque non vi servirà a niente: però, perlomeno, scatenate l'inferno perché credete che vi serva a raggiungere un obiettivo, e abbiate la decenza di non smettere finché non lo ottenete. Perché fare le rivoluzioni di due ore e mezza, sospese al calar della sera per togliersi il passamontagna e andarsi a mangiare una pizza, è davvero una cosa da gente piccola, mediocre e meschinella. Date retta, provate con la Playstation. Vi si addice di più.”.
3) Io penso che la violenza di pochi vada saputa bloccare da chi ha costituzionalmente il monopolio della forza (polizia e carabinieri), senza bisogno di leggi speciali che prevedano fermi o arresti per il sospetto di volere partecipare ad azioni violente. Però, a mente un po’ più fredda, voglio sforzarmi di capire cosa spinge gruppi di giovani incazzati a devastare negozi, incendiare auto o a commettere gesti allucinanti come la distruzione di una statua della Madonna o il lancio di petardi contro manifestanti che si ribellano alla violenza. E, posto che non condividerò mai i loro atti, vorrei rendermi conto di perché, all’interno della nostra società, ci siano giovani talmente inferociti da comportarsi così.
In questo mi ha aiutato lo straordinario post di Luca Di Meo su Giap!, di cui estraggo poche parole: “Ma poi, torniamo a quei fottuti bastardi: da dove sono spuntati, chi cazzo li ha chiamati? (…) Merde. Sterminiamoli tutti. Fotografiamoli e facciamoli arrestare. Ecco, io invece direi che è il caso di ragionarci su. Perchè c’è una storia. Ci sono cause che vengono da lontano, e altre che interagiscono sulla contingenza immediata. Perché i tempi sono lunghi, a differenza di ciò che ci fanno credere, e spesso i conti si pagano in differita. Ma si pagano sempre.”
Io non ho risposte, ovviamente. Ma voglio continuare a pensare da uomo libero che crede alla democrazia. E pensare a come le cose si possano gestire diversamente.
4) Sarò naif, sarò un quarantenne imborghesito privilegiato che ha un lavoro a tempo indeterminato, un contratto da dirigente e uno stipendio da classe media agiata. Sarò anche uno che non sa cosa significa l’assenza di prospettive e di futuro, che non ha mai avuto un contratto a progetto, interinale o accessorio e che non è mai stato licenziato con un sms il giorno in cui “si scade”. Ma a me non piace affatto questo mondo governato solo dal FMI e dalla BCE; non piace affatto questa politica impotente e attenta solo alla difesa dei propri privilegi; non piace affatto il divario sociale divenuto ormai baratro; a me non piace quasi nulla di quello che ho quotidianamente attorno.
Credo però che l’unica forma di lotta efficace sia quella non violenta, spinta anche fino a durissimi sacrifici individuali per il bene collettivo. Credo nella forza dei numeri, nella necessità del coinvolgimento di grandi masse di persone affinché le lotte abbiamo un impatto. Credo all’impossibilità da parte del potere di ignorare una lotta collettiva durissima e non violenta.
Sono un illuso? Probabilmente sì. Ma nessuno mi leva dalla testa che se l’incredibile marea umana che ha occupato Roma sabato pomeriggio avesse deciso che nel momento della massima estensione del corteo tutti si fossero fermati, si fossero seduti a terra e non si fossero più mossi, a oltranza, bloccando veramente in maniera pacifica e non violenta l’intero centro della città di Roma, allora sì che la loro voce si sarebbe sentita e avrebbe fatto in un istante il giro del mondo. Voglio vederli i celerini costretti a spostare a forza 250.000 persone in lotta, inermi e sorridenti. Io credo che in brevissimo tempo una tale manifestazione avrebbe scatenato una gara di solidarietà per portare cibo ed acqua a tutti, che nel giro di poche ore tante altre persone avrebbero seguito il loro esempio dando vita alla prima grande lotta non violenta della storia italiana. E di fronte a tutto questo qualcuno avrebbe dovuto dare risposte vere, che sarebbero andate oltre le forse inevitabili manganellate e le cariche con getti d’idrante. Qualcuno si sarebbe fatto male, ma di fronte alla immobile determinazione di un popolo in lotta la polizia non avrebbe potuto continuare a picchiare per sempre. Del resto, sabato scorso si sono fatti male in parecchi, senza avere ottenuto assolutamente nulla. Nulla.
Purtroppo io non vedo in giro né un Gandhi capace di ispirare una simile lotta né una determinazione collettiva così forte da creare una massa critica davvero disposta a mettersi in gioco. I quattro gatti che “occupano” il prato davanti alla basilica di Santa Croce in Gerusalemme mi fanno tenerezza. Almeno a Puerta del Sol riuscivano ad occupare tutta la piazza e sono stati lì per mesi interi. Evidentemente non siamo un paese da rivoluzioni, né violente né tanto meno pacifiche… E solo una rivoluzione non violenta, a mio modesto avviso, potrebbe riuscire a cambiare qualcosa in meglio senza scatenare una reazione che a colpi di leggi speciali ci porterebbe dal buio del quasi ventennale governo “ad personam” berlusconiano a qualcosa di molto, molto peggio.