Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Domenica scorsa, a Torino, ho assistito ad una partita di calcio che, nel suo piccolo, ha rappresentato un momento storico per tutti i tifosi granata sparsi in Italia e nel mondo: la promozione in Serie A del Toro, ad appena 9 mesi dalla scomparsa del Torino Calcio 1906 e la nascita del Torino FC guidato da Urbano Cairo.
Per me, tifoso del Toro da sempre, è stata un’emozione calcistica meravigliosa e devastante. Non ho mai urlato tanto in vita mia per una vittoria della squadra granata; al terzo gol, segnato da Davide Nicola nel primo tempo supplementare, le urla si sono spente in rantoli afoni che hanno spaventato la povera Alessandra che era al mio fianco e mai mi aveva visto ridotto così per una partita di calcio.
Nella mia vita c’è stata solo un’altra emozione calcistica paragonabile a quella di domenica scorsa: ancora un terzo gol del Toro, ma stavolta in un derby, quello del 27 marzo 1983. Al 70’ il Toro perdeva 2-0, al 74’ vinceva 3-2. Avevo 14 anni e ricordo ancora le mie grida e le corse folli tra la mia camera e la terrazza di casa, sotto gli occhi esterrefatti di mia madre...
Domenica sera, alla fine della partita, tutto il rituale del festeggiamento; la passeggiata sul prato del Delle Alpi, i caroselli di auto strombazzanti, il passaggio deferente alle rovine dello Stadio Filadelfia e poi i cori di giubilo (e quelli antijuventini, ça va sans dire) in Piazza San Carlo e Via Roma nel cuore di Torino.
Mai fatto nulla del genere in vita mia, eppure questa vittoria, questa promozione, vale per un tifoso del Toro quanto uno scudetto: ad agosto il Toro non esisteva più, oggi è in Serie A.
Nel cuore della notte, in Via Roma piena di gente, bandiere, sciarpe e magliette granata, Alessandra, il cui cuore è rigorosamente giallorosso, si è fermata all’improvviso, s’è girata verso di me e con un’espressione dolcissima mi ha detto: “Ma che me fai fa’...”. Io, colto di sorpresa, non ho saputo cosa rispondere. Poi s’è voltata, anche lei in maglia granata, e ha ripreso a saltellare con gioia gridando: chinonsaltabianconeroè-è...
Allora: vedere una partita mondiale dell'Italia in ufficio, con i colleghi, in sala riunioni, con un bel proiettore che spara le immagini RAI sul muro bianco.
Tutto bene, direte voi. Certo, senza considerare che è un bel banco di prova per scoprire aspetti del carattere dei colleghi che magari nella quotidiana routine lavorativa non vengono messi in evidenza. Quindi, oltre al fatto in sè, la partita vissuta coi colleghi è anche un bell'esperimento socio-culturale.
Metteteci anche la delicatezza della partita (se perde, l'Italia torna a casa)... uno s'apetta un pomeriggio teso e pieno di pathos.
Me stavo a addormentà, cazzo! Per metà abbondante del secondo tempo me se chiudeveno l’occhi! N’artro po’ me perdevo pure er go’ de quaa Pippaccia de Inzaghi – che, tra parentesi, è uno dei calciatori che maggiormente disprezzo al mondo, che se venisse a giocare al Toro mi augurerei che il Macellazzi di turno lo scomponesse come un Jeeg della Giochi Preziosi.
Ammazza Regà, se questa è la Nazionale che deve portarci lontano nei cieli della gloria, stamo freschi. Per mezz’ora stiamo chiusi in difesa e al primo tiro in porta segnamo: how tipically italian! Il resto è noia. Del resto, cosa si può volere da una partita in cui segnano Macellazzi e Pippainzaghi?
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