Oggi non sono andato a votare per il secondo turno delle primarie del centrosinistra. Alla fine ho deciso di astenermi, cosa che normalmente odio fare.
Mi sono astenuto perché il comportamento di Matteo Renzi, negli ultimi giorni, non mi è piaciuto per niente. Invece di cercare di convincere, legittimamente, gli elettori che non avevano votato né per lui né per Bersani che scegliere lui avrebbe significato davvero il cambiamento (e credetemi, io penso che tra gli elettori di Tabacci e della Puppato, ma anche tra quelli di Vendola e persino in alcuni bersaniani, avrebbe potuto trovare molte orecchie attente e disponibili), si è lanciato in una battaglia senza senso per allargare fuori tempo massimo la platea degli aventi diritto al voto.
La battaglia per portare più gente possibile alle urne, il sindaco Renzi, avrebbe dovuto farla prima del primo turno delle primarie, quando era il momento di registrarsi. Se le regole che erano state stabilite per il voto non gli erano gradite al punto da cercare di forzarle con ogni mezzo, beh, il sindaco Renzi avrebbe dovuto farle saltare, andandosene dal PD prima di iniziare la campagna elettorale per le primarie.
Onestamente, pur confermando la mia ritrosia a votare per l'apparato bersaniano, non ho trovato le motivazioni per andare a votare un futuro candidato premier che dimostra di non rispettare nemmeno regole di base come quelle delle elezioni primarie, comportandosi come un berluschino qualsiasi.
Mi dispiace, caro Matteo Renzi, ma temo che il tuo eccessivo nervosismo dopo il confronto TV con Bersani (e le cazzate che hai fatto di conseguenza) abbia portato tanta tanta gente a non votarti, proprio come è capitato a me.
E i primi dati che sento sull'affluenza (in calo rispetto al primo turno) mi fanno credere di avere ragione. Tra 10 minuti si chiudono i seggi, aspetto il risultato da spettatore interessato. La battaglia vera, chiunque ne saranno i protagonisti, deve ancora incominciare
da qualche tempo, sul mio profilo facebook, sto seguendo il countdown verso il giorno in cui qualcuno, interpretando non so quanto attendibilmente vostre presunte profezie, ha fissato la data della fine del mondo. Che poi è il 21 dicembre 2012, tra 12 giorni.
Ora, io ho sempre pensato che voi foste un popolo troppo serio per dare imbeccate del genere a personaggiucoli televisivi della risma di Giacobbo e dei giacobbidi di ogni rete. E il mio conteggio alla rovescia altro non voleva essere se non una innocente canzonatura della creduloneria teleindotta da simili soggetti, oltre che un deferente omaggio a una trasmissione radio che adoro, la meravigliosa "Chiedo Asilo" dei simpatici regrediti Cappa e Drago (dal lunedì al venerdì dalle 16.45 alle 16.55 su Radio 24, o in podcast).
Eppure da stasera posso dirlo: faccio il tifo per voi. Sono pronto al sacrificio mio e di tutto il genere umano. Del resto, prima o poi si deve morire tutti e ho imparato da tempo che ogni giorno può essere l'ultimo, specie se ci si sottopone volontariamente a pratiche estreme come guidare lo scooter nel traffico dicembrino romano, magari sotto la pioggia battente.
Mi dispiace per i miei piccoli nipotini, che hanno fatto appena in tempo ad assaggiare questa vita... ma che forse proprio per questo non faranno in tempo a rimpiangerne la brusca interruzione.
Ma tant'é. Sono pronto.
Però, ad un patto.
Che dall'apocalisse generale si salvi un unico essere vivente sull'intero pianeta Terra. Si chiama Silvio Berlusconi. Sì, proprio QUEL Silvio Berlusconi.
Deve restare solo lui. Ma solo solo solo lui. Nessun uomo, donna, bambino, infante, animale, insetto o invertebrato deve restare vivo, tranne Silvio Berlusconi. Egli non dovrá più avere nessuno su cui comandare, nessun servo che lo faccia ancora sentire un grande leader, nessun politico che faccia finta di opporglisi garantendogli invece sempre una nuova resurrezione, nessuna donna da umiliare con giochi sessuali degni di un numero di Sukia, nessun bambino da carezzare a favore di telecamera, nessuna bambina da carezzare sussurrandole "Cresci bene che ripasso", nessuna pecora che possa fungere da surrogato vaginale. E, se possibile, fate anche sparire anche tutte le bambole gonfiabili del pianeta, che certamente - pur nella loro ridicola oscenitá - sono esseri infinitamente più senzienti e compassionevoli del suddetto Silvio Berlusconi.
Lasciatelo solo sul pianeta. E fatelo vagare nell'enorme vacuitá di una Terra spopolata di vita. Basteranno pochi giorni. E poi, casualmente, mettete una bella P38 col caricatore pieno sul suo cammino. Ci penserá un po', ma poi, preso atto della sua desolante solitudine, fará finalmente il sano gesto di togliersi la vita.
E poi, come in un film americano, fateci uscire tutti fuori all'improvviso, un coro di 5 miliardi di persone che gridano: "SORPRESA!!!!!". Del resto lo so che siete un po' burloni, dai...
Grazie in anticipo per la gentile collaborazione.
E se non ci dovessimo sentire, Buon Natale a tutti voi e famiglia!
Se volete vedere il divertentissimo corto realizzato da mia sorella Sirka parodiando la patinatissima serie "The L word", cliccate sull'immagine qui sotto!
E se volete contribuire alla realizzazione del suo seguito, potete farlo dalla pagina web che si aprirá! Daje!
La gioiosa presenza di Elio e le Storie Tese al Festival di Sanremo di quest’anno, condita dalla vittoria dei premi “tecnici” (premio della critica e premio per il migliore arrangiamento) e dal 2° posto assoluto in classifica, mi porta a fare alcune brevi riflessioni sullo stato dell’arte e della carriera dei miei indiscussi beniamini musicali degli ultimi 23 anni.
Innanzitutto sto rivalutando moltissimo il pezzo escluso durante la prima serata, Dannati Forever, complice un videoclip in salsa Pythoniana semplicemente meraviglioso.
A parte il titolo, che trovo piuttosto brutto, il pezzo è decisamente interessante; rappresenta, in un certo senso, una Terra dei Cachi revisited. 17 anni dopo, gli Elii tornano a Sanremo e raccontano ancora una volta il nostro paese, passato da una possibile dicotomia (Italia sì, Italia no) che lasciava pur tuttavia un margine di speranza, a una semplice, amara, realistica e rassegnata constatazione: andiamo tutti all’inferno, anzi in un certo senso siamo già tutti all’inferno.
Probabilmente Dannati Forever avrebbe meritato migliore fortuna: non dico che avrebbe potuto concorrere per la vittoria finale, ma secondo me nella testa di Elio era questo il pezzo con cui puntare al 4° posto.
Il “problema” è stato che il secondo pezzo presentato, La Canzone Mononota, è talmente geniale nella sua assurdità da arrivare quasi a rappresentare la Summa Teologica della carriera degli EelST. Soprattutto al primo impatto, La Canzone Mononota folgora, sorprende, diverte, esalta. Qualsiasi pezzo avessero presentato accanto a questo sarebbe rimasto schiacciato, inevitabilmente, perché usa un linguaggio multilivello che va molto al di là della sola composizione musicale.
La Canzone Mononota è molto più vicina all’idea di “spettacolo” che non a quello di semplice “canzone”. È un pezzo studiato per stupire, è un coup-de-theatre di altissimo livello, è Petrolini, Brecht, Eduardo, i Monty Python mischiato a tutto ciò che di musicale è stato esplicitamente e implicitamente citato nel pezzo: è la storia di Elio e le Storie Tese condensata in 3 minuti e 38 secondi. Non è un caso, a mio modesto parere, che il videoclip che accompagna la canzone sia esso stesso una rappresentazione visiva di oltre 25 anni di carriera, a tal punto da sembrarmi addirittura un gioioso epitaffio.
L’ho scritto a caldo all’amico Duccio Pasqua: dopo questo pezzo gli Elii sono pronti allo scioglimento. Questo non vuol dire che la storia del simpatico complessino sia ormai giunta al termine, ma certamente – se questo dovesse accadere – chiunque li abbia seguiti per tutta o gran parte della loro carriera non potrebbe restare con l’amaro in bocca, perché, in un certo senso, ora TUTTO quello che dovevano dire come band lo hanno effettivamente detto.
Voglio poi dedicare qualche riga al vero momento “oro” dell’intero Festival 2013: l’esibizione nella serata di venerdì in compagnia di Rocco Siffredi. Lì gli Elii han fatto il vero capolavoro, perché l’intero pezzo è stato un compendio di bravura, classe e ironia. La sola idea che Rocco Siffredi potesse partecipare all’esecuzione di un brano chiamato “Un bacio piccolissimo” poteva portare a due risultati: un disastro totale o un capolavoro assoluto. In quei 4 minuti si sono concentrate come per magia un insieme di bravure molto al di sopra del normale: quella degli Elii è risaputa, ma si è espressa ai massimi livelli anche nella scelta della scenografia “piccolissima” e degli strumenti “piccolissimi”; quella di Duccio Forzano, che ha regalato ai nostri occhi – specie nell’intermezzo centrale – una regia eccezionale, essa stessa citazione di trasmissioni tv anni ’60 (la camera fissa che cambia fuoco per inquadrare alternativamente Elio e Siffredi durante il loro dialogo) che per molti di noi sono solo ricordi di Blob et similia visti e rivisti nel corso degli anni; e la bravura di Rocco Siffredi, perfettamente a suo agio nel ruolo di crooner recitante, trasfigurazione raffinatissima del più “irruento” tra i grandi pornodivi dell’ultimo ventennio. Il video potete vederlo qui, godetevelo!
Bravi, bravi davvero gli Elio e le Storie Tese. Non so se sia stato giusto che alla fine non abbiano vinto il Festival, specie perché le due canzoni arrivate nella terna finale erano davvero, ma davvero brutte. Io mi accontento del fatto che siano arrivati davanti ai Modà.
Mancano poche ore alle elezioni di domenica, come da tradizione rendo note le mie intenzioni di voto.
Alla Regione Lazio voto per Nicola Zingaretti presidente, scelfo la Lista Civica per Zingaretti e do la mia preferenza a Rita Cerri (persona che conosco da 10 anni e che stimo molto, da sempre impegnata per la valorizzazione e la difesa della cultura).
Al Senato voto per il Partito Democratico, in particolare per la presenza tra gli eleggibili di Ignazio Marino, tra i pochi politici del PD per cui riesca ancora a nutrire una certa stima.
Per il voto alla Camera dei Deputati sono molto indeciso; le liste dei candidati di PD e SEL non mi entusiasmano affatto, e pur avendo da almeno due anni espresso il desiderio di votare una coalizione PD-SEL, ora mi trovo con non pochi dubbi. Ma altri voti sensati in giro non ne vedo. Se dovessi essere coerente con le mie idee, dovrei votare AGL (la lista radicale) oppure Fare (nonostante il declino di Giannino). Probabilmente deciderò quando avrò la scheda elettorale in mano…
Se qualcuno vuole esprimere apertamente le sue scelte per poterle condividere… ne sarò felice. Buon voto a tutti, ci sentiamo lunedì per i commenti!
In questo periodo il mio principale hobby è la birrificazione casalinga, cosa che mi diverte e mi riesce benino (almeno finora, dato che ho prodotto, bevuto e fatto bere una sola birra e ho iniziato ieri sera la seconda). Per cui – come ogni home brewer alle primissime armi – vivo l’ansia da fermentazione. Spiego brevemente: per far sì che la birra nasca, nel bidone contenente acqua ed estratto di malto va aggiunto del lievito, che serve per far partire la fermentazione del mosto. Ecco, la paura di tutti i pivelli come me è che questa dannata fermentazione primaria (così detta perché poi la birra verrà rifermentata in bottiglia) non parta, e quindi ci si sveglia di notte e si va a controllare il bidone per cogliere segni di vita da quel piccolo oceano di 23 litri di roba che nei nostri sogni diventeranno bicchieroni di pilsner o IPA o weizen ecc. ecc.
Ecco, mi piacerebbe in questi giorni essere preso almeno da un lieve fermento per un’altra cosa primaria che accadrà domenica, vale a dire la scelta del candidato a Sindaco di Roma del centrosinistra. Dopo 5 anni di governo del centrodestra (su cui evito commenti, dato che alla fine io - seppure indirettamente - per l'amministrazione capitolina ci lavoro) mi sembrava naturale che un passaggio come la scelta del candidato sindaco potesse essere l’occasione per una grande discussione a livello cittadino, sulle prospettive e le idee da mettere in campo per il futuro della nostra città. Semplicemente, per proporre un modo diverso di governarla.
Invece a me sembra che tutta la questione sia passata nel silenzio generale. Per dirla semplice, ho l’impressione che tutto si stia giocando nelle segrete stanze del piccolo potere partitico romano, al massimo con qualche rara e poco pubblicizzata apparizione di uno dei candidati in qualche teatro cittadino. Non un confronto, non un dibattito, non una discussione collegiale. Almeno io non mi sono accorto di nulla.
Eppure non mi sembra di essere una persona altamente disinformata. Vi confesso però di avere scoperto ieri, per puro caso, l’esistenza di un sito web www.romabenecomune.it su cui sono riportati i nomi dei candidati Sindaco e dei candidati presidenti di Municipio. E ho scoperto con altrettanta sorpresa che tra i candidati a Sindaco vi sono due nomi che, sempre fino a ieri, io non avevo MAI sentito nominare, nemmeno UNA volta (Gemma Azuni e Mattia Di Tommaso). Va bene che da tempo non ho più la tessera del PD, va bene che non faccio vita di partito, va bene che l’ignoranza non è mai una scusa… ma con tutto il rispetto, qualcuno di voi sa chi cazzo sono le due persone che ho appena citato?
Quindi ci sono 6 candidati tra cui scegliere lo sfidante di Alemanno e del candidato 5 stelle Marcello De Vito (gli altri candidati indipendenti faranno semplicemente da contorno, credo): oltre ai due carneadi, con i quali mi scuso per la brutalità, sono certamente persone degnissime che non meritano affatto la mia schizzinosa supponenza, sono in campo Patrizia Prestipino, Paolo Gentiloni, David Sassoli e Ignazio Marino. Sinceramente, nessuno di questi nomi mi fa impazzire di entusiasmo.
Io ho sostenuto e votato per Ignazio Marino alle primarie per la scelta del segretario PD nel 2009, e ho votato PD al Senato lo scorso 25 febbraio fondamentalmente per la sua presenza (e quella di Walter Tocci) nella lista bloccata dei candidati. Ma, con tutto il rispetto che ho per lui, non so quanto Ignazio Marino possa essere un candidato capace di suscitare entusiasmo nei simpatizzanti del partito che dovranno fare con lui una durissima campagna elettorale e – soprattutto – un candidato che possa PIACERE ai romani.
Sì, perché i romani votano per un candidato sindaco che “je piasce”, per un motivo o per l’altro. Er romano, si nun je piasci, nun te vota. E pe’ piascé ar romano devi essere (oltre che una persona mediamente in gamba e possibilmente onesta), convinto, simpatico e rappresentare una novità. Alemanno, 5 anni fa, vinse perché – rispetto a Rutelli – appariva nuovo e convinto. E vinse realmente quando, tra il primo turno e il ballottaggio (come racconta il suo ex spin-doctor ed ex-assessore Umberto Croppi), riuscì a fare dei manifesti in cui finalmente sorrideva apertamente e riusciva ad apparire anche simpatico.
Dunque non so per chi voterò, a queste dannate primarie. Anche perché, in questa particolare occasione, la candidatura di Ignazio Marino mi appare essa stessa una rigida scelta di apparato, sostenuta com’è dal fu deus ex machina del veltronismo romano, Goffredo Bettini. Nulla di nuovo, insomma.
Credo di non essere l’unico elettore romano di centrosinistra che non nutre alcun entusiasmo per queste primarie. Magari sbaglio, ma mi sembra che il PD romano abbia fatto di tutto per non farla partire, la sua fermentazione primaria. Ho l’impressione che il lievito lo abbiano deliberatamente buttato via.
Come al solito, mi verrebbe da dire.
Penso che continuerò a dedicare la maggior parte delle mie attenzioni, quindi, alla fermentazione primaria della mia birra. Ma la cosa, in questo momento così difficile per Roma e per l’Italia, non mi fa stare per niente tranquillo o in pace con me stesso.
1) Bersani si dimetterebbe "seduta istante" (cit.);
2) Marini annuncerebbe il ritiro definitivo della sua candidatura;
3) Il PD farebbe convergere massicciamente i suoi voti su Rodotá giá dal prossimo scrutinio, per eleggerlo sicuramente al quarto;
4) Pippo Civati (il più lungimirante e coerente tra i parlamentari del PD) verrebbe nominato reggente del partito fino a un congresso in cui verrebbe trionfalmente eletto segretario;
5) Laura Puppato verrebbe incaricata di formare un vero governo di cambiamento - composto esclusivamente di nomi NUOVI - appoggiato da PD e SEL, con l'apppoggio del M5S.
In un paese normale, che non è e non potrá essere mai il paese normale che vuole Massimo D'Alema.
Il mondo, si sa, è pieno di rompicoglioni. Le possibilità di incontrarne sul proprio cammino è direttamente proporzionale al mestiere che si fa, a quanto si è noti, a quanto ci si espone al pubblico. Alcune categorie professionali, come i politici, scelgono l’esposizione mediatica per cercare consenso e voti; altre, come gli artisti che lavorano nello show-biz, lo fanno per ampliare il proprio pubblico di riferimento e quindi la platea dei potenziali acquirenti di biglietti di concerti e spettacoli, merchandising, al limite persino dischi.
Quindi se la propria professione, anche superati i 50 anni, resta quella di fare il musicista e di apparire sui media per promuovere in qualche modo la propria immagine, è inevitabile che nella cerchia dei propri “fans” si verranno a trovare anche persone che fanno della raccolta di immagini registrate con i moderni mezzi multimediali una vera e propria ragione d’essere. Può non piacere, ma fa parte del gioco e va accettato con un sorriso e con tanta, tanta pazienza. A meno che non si scelga una strada tipo J.D.Salinger o Mina, opzione dignitosa e con alcuni indubbi svantaggi, ma sempre considerabile.
Io sono ancora tra quei residui romantici che crede che il rapporto tra artista e fan costituisca la migliore base per la creazione di un pubblico fedele che ti seguirà sempre e comunque. È questo, del resto, uno dei motivi che mi ha legato per tanti anni, quasi 25 ormai, a Elio e le Storie Tese. E sebbene questo rapporto si sia obiettivamente già affievolito negli anni, anche e soprattutto per l’intervenuta assenza di una figura di intermediazione tra band e fans (soprattutto cosciente ed entusiasta del suo ruolo), devo dire che mi ha molto colpito la presenza nel nuovo album degli EelST di ben due brani in cui si inveisce contro questo aspetto dell’appartenere (per scelta propria, è sempre bene ricordarlo) a una categoria professionale di persone esposte, e quindi note, e quindi soggette al desiderio di essere oggetto di foto e video da parte dei fans… oppure oggetto delle attenzioni di gente che a sua volta caga il cazzo per professione e cerca in ogni modo un contatto con l’artista famoso.
È un tema molto riconoscibile, quello dell’insofferenza, ne “L’Album Biango”, settimo lavoro di inediti in studio degli EelST in 24 anni di carriera discografica. Non solo nei due pezzi a cui ho fatto cenno sopra (“Lampo” e “Il Tutor di Nerone”), ma anche in altri pezzi come l’osannato singolo apripista “Complesso del Primo Maggio” o la sanremese “La Canzone Mononota”, in cui oggetto del malcelato fastidio della band sono in varia misura colleghi musicisti e altre persone impegnate nello stesso campo professionale; oppure in “Una sera con gli amici”, in cui si constata un po’ catalanamente che gli amici son sempre pronti a (s)parlare alle spalle degli assenti.
Il disco, complessivamente bello e gradevole da ascoltare, in verità di totalmente inedito ha abbastanza poco, specie per chi ha visto la band dal vivo almeno una volta negli ultimi due anni. Oltre ai brani presentati all’ultimo festival di Sanremo, di cui ho già parlato qui, nell’album trovano posto pezzi già eseguiti dal vivo: la bellissima "Come gli Area", introdotta da un pezzo strumentale suonato dagli stessi Area, intitolato enigmisticamente (nel senso della Settimana Enigmistica) “Reggia (base per altezza)”, che paradossalmente è a mio parere il momento più emozionante dell’intero lavoro; "Enlarge (your penis)", pezzo dalla struttura musicale davvero considerevole, ma un po’ impoverito da un testo il cui tema mi sembra affrontato largamente fuori tempo massimo; "Il ritmo della sala prove", simpatico amarcord dei garage days della band, impreziosito dall’armonica del Puma di Lambrate.
Il resto, ciò che è del tutto inedito, che per un vero fan rappresenta il principale motivo di gioia nel momento dell'uscita di un disco nuovo, scivola via senza grandi sussulti, purtroppo. Oltre alle già citate "Lampo", "Il tutor di Nerone" e "Una sera con gli amici", non mi hanno entusiasmato né l'auto-cover "Amore amorissimo" né “Lettere dal www”, blanda introduzione a “Enlarge” che suscita impietosi paragoni al gusto di sfacciottino di Papà Barzotti.
Discorso a parte merita, a mio modestissimo avviso, "Luigi il Puglista", brano dalla classica struttura di canzone melodica sanremese, scritto suonato ed arrangiato così bene che, come mi ha detto un caro amico, se lo avesse cantato Tiziano Ferro (con un testo diverso, ma non necessariamente) sarebbe rimasto in classifica un anno intero senza problemi. Se poi questo sia un pregio o un difetto lo lascio decidere a voi: non c'è dubbio però che il pezzo stia una bella spanna e mezza sopra gli altri.
Infine merita menzione "A Piazza San Giovanni", interpretata con meravigliosa enfasi finardiana da (toh!) Eugenio Finardi, che contiene quello che per me è il verso più bello dell'album: "...perché il biglietto del concerto del primo maggio è un omaggio.".
Dei 70 minuti complessivi del cd, tolti i circa 13 minuti di ghost track e un 6/7 minuti totali di intermezzi (sui quali non mi esprimo per carità di patria), restano una cinquantina di minuti di produzione; dieci minuti per ogni anno trascorso dalla pubblicazione di Studentessi. Non voglio farne necessariamente una questione di quantità, ma è un parametro che indica chiaramente il livello di priorità che un album di inediti in studio riveste in questi anni per i componenti degli EelST.
Termino queste righe con un auspicio: ieri, durante la conferenza stampa di presentazione del disco, Elio ha letto una lettera di Rocco Tanica, da qualche settimana assente sia durante i concerti (vi assicuro che la tastiera montata e vuota sul palco del PalaBAM di Mantova dove li ho visti sabato scorso faceva davvero impressione) che durante gli altri appuntamenti pubblici della band. La letterina dice (la riporto così come pubblicata sul sito di Rolling Stone Magazine): “Cari tutti, vorrei spiegare la mia assenza da concerti ed eventi promozionali. Vorrei precisare che non ci sono contrasti con i miei amici e colleghi. Ma solo la necessità di un periodo di tempo da dedicare esclusivamente a questioni personali e private per me importanti. Conto di affrontare nuove mirabolanti avventure insieme al miglior complessino che io conosca: i Rolling Stones. Se mi prendono. Ma anche gli Elio & le Storie Tese vanno bene lo stesso”.
Ecco, io spero davvero che i Rolling Stones non prendano Rocco Tanica tra le loro fila! Anzi, vorrei rivolgergli un caloroso appello: non farlo Rocco, mandali affanculo, gli Stones! Elio e le Storie Tese senza di te sono come una meravigliosa scultura in una stanza completamente buia: sai che è lì, sai che è bellissima, ma senza luce non puoi fare altro che immaginarla!
È inutile girarci intorno: se un giorno la cosidetta “anomalia” berlusconiana dovesse finire, e forse da ieri siamo un pochino più vicini a quel giorno, essa lascerà spazio all’unica altra forma politica che questo paese è in grado di sostenere: il democristianesimo.
Dal momento della stretta di mano tra Letta ed Alfano – che gli eccezionali titolisti del Manifesto hanno prontamente ribattezzato “Scudo Incrociato” – è stato un florilegio di nostalgici amarcord sui bei tempi in cui l’economia cresceva (mentre si distruggeva l’Italia e se ne minava per sempre l’equilibrio idro-geologico), il governo della nazione era stabile (anche se i culi sopra le poltrone cambiavano ogni 6 mesi in un eterno balletto danzato sempre sulla stessa musica), la gente era ottimista (ma la polizia sparava e uccideva chi scioperava per avere condizioni di vita e di lavoro meno umilianti).
È significativo che Enrico Letta, ieri, abbia citato proprio il periodo tra la nascita della Repubblica e il 1968 come l’era felice della storia italiana. Come dire che l’Italia buona può solo essere l’Italia asservita al potere democristiano, al limite fiancheggiato da un partito socialista piccolo e sostanzialmente succube.
Sono troppo giovane per avere nostalgia degli anni ’70, di cui ricordo anche io soprattutto le bombe fasciste e gli omicidi del partito armato; ma gli anni tra il 1968 e il 1978 hanno rappresentato, probabilmente, l’unico momento della storia italiana in cui la dimensione collettiva, la sensazione di essere parte di una comunità diversa e più ampia di quella della propria famiglia, sia riuscita a sfidare a viso aperto l’individualismo egoista e il familismo amorale così tipici dell’essere italiano. Venendone sconfitta in maniera feroce, brutale, definitiva.
Non ci sono vie di mezzo: l’Italia può solo essere democristiana o fascista. Mettiamocelo in testa una volta per tutte, cerchiamo di convivere con questa verità e facciamocene una ragione.