Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
È bastato niente.
È bastato così poco.
Per settimane ho pensato a quante cose avrei voluto farle sapere, a quante cose avrei voluto commentare con lei… Un disco che esce, un libro nuovo visto alla Feltrinelli, un film che ancora non ho visto e lei sicuramente sì, una serata speciale con un grande vecchio artista in un posto insolito per un recital, il campionato di calcio… Settimane, mesi passati ad allontanare questi pensieri, con la consapevolezza di non essere ancora pronto, di essere appena all’inizio di un percorso virtuoso dedicato esclusivamente a me stesso, in cui non c’è spazio per nessuno, in cui non c’è spazio per lei.
E poi.
E poi ieri sera tardi era lì, davanti ai miei occhi, col suo sorriso dolce e gli occhi grandi rivolti a un obiettivo che ne fermava l’immagine. Ma in quel momento, al posto dell’obiettivo, c’ero io. “È solo una sua foto, mi sono detto, solo una sua foto, solo una sua foto…”.
Appunto.
Scusate. Forse ho capito male io. O forse ho sentito male. O forse ho letto male. Ma ho cercato su diverse fonti e tutte riportano questa frase detta da Silvio Berlusconi oggi a Messina: “Avevamo previsto il disastro e dato l’avviso. Poi le precipitazioni sono state ancora più intense delle previsioni. E' stato un evento eccezionale”. Scusate. Ho un improvviso mal di testa. Non capisco. Scusate. Cosa cazzo vuol dire: “Avevamo previsto il disastro e dato l’avviso”? Non capisco. E se avevate previsto il disastro e dato l’avviso, com’è che oltre 60 persone sono state inghiottite dal fango? Perché non le avete evacuate in tempo, prima che le precipitazioni diventassero “più intense delle previsioni”? Non capisco. Non capisco e mi sta montando dentro una rabbia cieca e furiosa. Possibile che non fosse possibile fare andare via quella gente da casa loro? Possibile che non li si potesse forzare ad andare a casa di parenti, amici, in alberghi, in conventi, in chiese, in fottuti monasteri, nella fottuta prefettura, nel fottutissimo palazzo della Provincia… ma PRIMA che la montagna violentata dal cemento abusivo venisse giù carica d’acqua e morte? Per quale motivo non si riesce mai ad evitare le tragedie in Italia? Soprattutto nel Sud Italia? Perché? Perché, se il disastro era stato previsto e lo dice il fottutissimo capo del fottutissimo governo di questo fottutissimo paese che odio, odio, odio sempre di più? AVEVAMO PREVISTO IL DISASTRO. Lo avevano previsto. E nonostante la previsione ci sono (a questo momento) 24 morti e 39 dispersi. Complimenti. E se non lo aveste previsto? Ve lo dico io. Sarebbe stato lo stesso, avremmo avuto gli stessi morti, ma forse il dolore sarebbe stato minore. Perché tutti noi sappiamo che non è la pioggia che uccide, in questi casi, ma è l’uomo, l’uomo che costruisce abusivamente. Quindi sono gli stessi messinesi che hanno costruito quelle case, in quel modo, che si sono condannati a morte da soli. E questo è già abbastanza doloroso. Ma dover sopportare anche le parole di un uomo ormai palesemente incapace di intendere e governare, dover sopportare queste parole: A-V-E-V-A-M-O-P-R-E-V-I-S-T-O-I-L-D-I-S-A-S-T-R-O, è troppo. Troppo persino per me che me ne sto tranquillo a casa a Roma, figuriamoci per chi sta a Messina, e spera di ritrovare almeno un cadavere da seppellire cristianamente, per non doverlo lasciare lì, sommerso sotto quel piccolo Vajont siciliano. Ti sono vicino, Esmeralda, ti sono vicino e ti “giuro che la stessa rabbia sto vivendo” (cit.).
Ieri, nel primo pomeriggio, il tam-tam ha iniziato a diffondersi, particolarmente su Facebook: “Stasera ore 21 spegni Raiuno”. Anche io l’ho inserito sul mio profilo, come migliaia di altre persone, immagino. Solo tra i miei “amici” almeno una decina lo ha fatto. Confesso di avere pensato che si trattasse dell’ennesima masturbazione mentale autoconsolatoria di noi facinorosi antiberlusconiani, e che la trasmissione di Vespa sulla consegna delle prime case ai terremotati di Onna avrebbe comunque riscosso un grande successo.
E invece.
Invece il sacro share si è fermato al 13,47%, per un totale di 3.219.000 spettatori.
Pochi.
Molto pochi.
Pochissimi.
Pochèrrimi.
Un segno di risveglio? Un segno di stanchezza? Un segno di fastidio per una trasmissione totalmente inutile e sfacciata, il cui unico senso era di glorificare il nostro Caro Leader, dato che tutti i notiziari di giornata mandati in onda nell’italico etere erano (giustamente) colmi fino alla nausea di servizi sulle “casette di Onna”?
Ma soprattutto: che ruolo ha avuto il tam-tam su internet, il passaparola su Facebook? Quanta gente come me si è convinta a non guardare nemmeno un minuto di Porta a Porta, e quindi di contribuire attivamente a questo clamoroso flop, dopo aver condiviso con amici e conoscenti questa determinazione?
E se la sera del 15 settembre 2009 rappresentasse davvero un momento di svolta nella percezione delle possibilità infinte che possono scaturire dalla condivisione di idee tra singoli soggetti, persino in un paese triste e rassegnato come l'Italia? Non mi pare che i media abbiano finora fatto questa riflessione, ma magari mi sbaglio. Alla fine è importante che la facciano tante persone, che la faccia io. E che magari qualcuno di voi la condivida. Nella sua testa, ma – perché no – anche su Facebook. Grazie. :)
Guardare alle cose dell’Italia dall’estero è sempre divertente, anche se è quel tipo di divertimento che ha un sapore vagamente deprimente… come i film dei vari “vanzinèidi” italici, che a furia di turpiloquio ogni tanto ti strappano una mezza risata, lasciandoti però con un senso di vuoto e disagio che somiglia parecchio alla nausea.
Se poi la geopolitica mondiale ci regala un meraviglioso comprimario come Gheddafi, fantasmagorica spalla di un leader tanto improbabile quanto reale come è il nostro perfettamente-funzionante-utilizzatore-finale Papi Silvio, la commediola farsesca assume toni da allucinata demenza. E’ come vivere in un quadro di Dalì, dove gli orologi non sono l'unica cosa moscia, però... (apro una parentesi: su chi tra i due sia il primattore e chi la spalla potrebbe aprirsi un dibattito più lungo della querelle Laurel-Hardy, ma qui da noi il “buon” Muhammar può solo essere comprimario… questione di prospettiva!)
Quando però ho letto su El Pais un trafiletto sulla proposta del dittatore libico di smembrare la Svizzera e darne un pezzo anche a noi, mi sono esaltato. “Quest’uomo è un genio!”, ho gridato tra me e me sorseggiando un bicchiere di sangria annacquata, seduto in un locale della Costa Brava. "Ma sai che balzo, il PIL nazionale, se ci andiamo a sommare anche quello del Canton Ticino?".
E poi, dato che son sicuro che i cantonticinesi, pur di non finire in pasto all’Italia, faranno carte false per riuscire ad emigrare nella nuova regione svizzerofrancese o in quella svizzerotedesca, noi ci ritroveremmo un’intera regione vuota dove spedire tutti gli immigrati clandestini, tutti i laureati stranieri che da noi puliscono cessi o culi di vecchi, tutti gli indesiderati, tutti i meridionali che infestano le sacre terre del nord padano: lo ribattezzeremo il Canton Terùn! E quando l’economia del Canton Terùn riprenderà a volare, facendo le pernacchie alla Lombardia e al “mitico” nord-est di stocazzo, sarò felice di leggere per le vie di Lugano cartelli come: “Non si affitta ai padani”.
Grazie Muhammar, sarai anche stato il mandante della strage di Lockerbie, ma sei l’unico leader mondiale capace di darci la speranza di un futuro migliore.
Domani parto per le vacanze. Mi dedico questa bellissima canzone di Ettore Giuradei.
PORTERO' CON ME
Porterò con me l’imbarazzo del primo bacio e i tuoi occhi nel lago le tue smorfie piccanti strofinandoci il naso la speranza spezzata di toglierti le calze di vederti dormire coi pugni sulle guance Porterò con me un maglione mai lavato, le tue cadute nel buio la sconfitta, l’ingenuità d’innamorarmi la tua testa sulla spalla e i tuoi occhi bagnati il profumo del legno e delle lenzuola Porterò con me l’intimità delle nostre carezze e sorrisi puerili la tua silenziosa sorpresa sotto l’ultima luna il vento freddo pungente e l’abbraccio più caldo e quel fare l’amore per fermare il tempo.
A presto.
Come si fa?
Come si fa a selezionare i pensieri che arrivano alla testa?
Come si fa ad impedire ad alcune idee di sorgere ed invadere il cervello?
Come si fa a chiudere le porte alle elucubrazioni senza costrutto, alle pippe mentali, alle flatulenze cerebrali?
Come si fa a cancellare l’assillante presenza di cose senza ormai valore alcuno se non quello della memoria?
Come si fa ad aprire l’archivio?
Come si fa ad inserirvi una pratica così voluminosa, se il cassetto è poi così piccolo?
Come si fa a respirare senza affanno?
Come si fa a sorridere senza inganno?
Come si fa a girare l’angolo dietro il quale mi aspettano le meraviglie del resto della mia vita?
Come si fa a vivere sempre solo di sconfitte e di rare vittorie risicatissime vanificate dal primo soffio di vento contrario?
Come si fa a smettere di scrivere stronzate? Facile, smetto subito.
Ciao a tutti, buone vacanze.
Una delle tante belle canzoni degli OfflagaDiscoPax, una delle più belle, si chiama “Sensibile” e parla di Francesca Mambro e Giusva Fioravanti, dei loro omicidi, delle loro condanne, del fatto che la Mambro abbia definito in un’aula di tribunale l’uomo della sua vita, Fioravanti appunto, come “l’uomo più sensibile che avesse mai conosciuto”.
Giustamente inorridito da tanta assurdità, Max Collini rivendica il loro (e il mio, per quel che conta) modo di essere sensibili, convenzionalmente chiamato “neosensibilismo”, che per nessun motivo può essere confuso con quello di un uomo che ha fatto della violenza gratuita e della furia omicida una ragione di vita, un uomo che è stato condannato in via definitva anche per la strage di Bologna. Il fatto che Fioravanti e Mambro abbiano sempre negato il loro coinvolgimento in quella pagina nerissima della nostra storia, al contrario degli altri omicidi rivendicati e confessati, non conta. Non conta per nessuno e soprattutto non conta per la legge. “Sensibile” si conclude con l’amara constatazione che entrambi i coniugi Fioravanti sono fuori di galera, e che quindi, al momento, vincono due a zero.
Il vantaggio si è ora allargato. Giusva Fioravanti oggi è un uomo completamente libero. A 51 anni ha la possibilità di ricominciare da capo, non ha più conti da saldare con la giustizia italiana. Quindi in Italia anche l’ergastolo è in realtà un “ergastolo relativo”. Anche molti ergastoli attribuiti a una sola persona sono “ergastoli relativi”. Sia chiaro: io ho sempre pensato che il carcere non debba servire come punizione assoluta ma come processo di reinserimento di una persona nella società. Anche di un pluriergastolano. Quindi il cervello mi dice che se Giusva Fioravanti ha estinto la sua pena è giusto che abbia la possibilità di rifarsi una vita insieme a Francesca Mambro.
Ma poi, come spesso mi capita in questi ultimi mesi, decido di mandare affanculo la mia parte razionale e logica, lasciando che i miei pensieri trovino libero sfogo e nessuna (auto)censura.
E allora penso che le condanne definitive per alcuni reati non dovrebbero prevedere né ravvedimenti né riduzioni di pena. Penso che gli omicidi seriali, le stragi, il macello di vittime innocenti che avevano la sola colpa di essere in attesa di un treno per le vacanze non dovrebbero MAI prevedere l’estinzione della pena, MAI, in nessun caso.
Non chiedo né la pena di morte né il “buttare via la chiave”. Niente affatto. A me può stare benissimo che uno come Giusva Fioravanti, dopo tanti anni, possa lavorare fuori dal carcere, che possa usufruire di permessi in cui vedersi con la moglie e dare libero sfogo a tutta la sua sensibilità repressa in carcere. Ma casa sua deve restare la galera. Fino alla morte. Il fatto che possa tornare libero, completamente libero, senza alcun obbligo, dopo una serie di condanne definitive per omicidio e strage più lunga dell’elenco dei dietologi che ho conosciuto negli ultimi 20 anni… Semplicemente mi inorridisce. Mi fa orrore. Mi fa venire voglia di urlare. Mi fa venire voglia di riascoltare per la millesima volta “Sensibile” e piangere. Piangere per le vittime della più orribile strage di stato mai vista in Italia (sarò un vecchio rincoglionito, ma tali per me restano tutte le stragi nere degli anni 70) e tirare fuori dalle viscere tutto il mio “neosensibilismo”.
Lo sapevo. Lo sapevo che prima o poi Berlusconi avrebbe capito. Era così semplice, così facile. Che bisogno c’era di inventarsi tante fandonie, di contraddirsi in pubblico, di dare adito a una campagna giornalistica come quella del gruppo Espresso-Repubblica? Bastava che lo dicesse subito. Che lo ammettesse senza giri di parole, come ha fatto ieri durante il suo discorso all’avvio dei lavori per l’autostrada Brescia-Bergamo-Milano. “Ci sono in giro un mare di belle figliuole e di imprenditori solidi, e io non sono un santo, lo avete capito tutti. Speriamo che lo capiscano anche quelli di Repubblica”.
Voilà, les jeux sont fait, rien ne va plus! A Roma si dice: “E vaje a dì quarcosa, mo’!”. A parte la meravigliosa allusione sull'imprenditore "solido", che non è stata colta quasi da nessuno, è la linea Sgarbi. Sì, proprio Sgarbi, che con il suo fine eloquio lo aveva anticipato di poche ore (sentitevi la sua intervista a “La Zanzara” di Giuseppe Cruciani, se vi va): “Siccome io credo che la gnocca sia ricostituente, se uno scopa bene, governa bene”. E ancora, Berlusconi dovrebbe dichiarare alla stampa: “Mi piace la gnocca, non rompetemi i coglioni!”.
Suggerimento accolto, e per una volta Silvio è stato più signorile del Vittorio. Conclusione? Agli italiani, alla maggior parte degli italiani, andrà benissimo così. Questa risposta sarà più che sufficiente, e D’Avanzo, con i suoi papielli di domande scomode, ci si può tranquillamente pulire il culo. Perché per gli italiani medi (“ordinary italians”, li chiama l’Economist in uno splendido articolo di questa settimana) l’unico sentimento suscitato da tutta questa storia, alla fine, è l’invidia.
Lo scrive persino Serghiei Ponomariov sulla Komsomolskaya Pravda, che noi italiani dovremmo essere orgogliosi di avere un premier di 72 anni così maschio, così attivo, così uomo.
Voglio dimettermi da italiano. Si può?
Ho iniziato. Finalmente sono riuscito ad iniziare.
E non è un caso, non può essere solo una coincidenza, che questo nuovo inizio avvenga il giorno successivo all’uscita da casa mia delle sue ultime cose. “Ti si sarà svuotata casa”, m’ha detto mamma al telefono ieri sera, aggiungendo subito dopo “Beh, starai più largo”. Sì, starò più largo, avrò nuovi spazi da riempire di oggetti e pensieri, occuperò angoli che non erano miei.
Ma sono sicuro che, per quanto la scansione di ogni angolo della casa sia stata piuttosto accurata, continuerò a trovare cose sue. Le troverò negli angoli impensati, rifugiate tra i vestiti, la biancheria, i libri o i documenti di casa, come bambini mai stanchi di giocare a nascondino. E sono certo che, quando le troverò, non avrò più la reazione rabbiosa che ho avuto quando ho visto il suo orologio da parete ancora al suo posto in cucina, il giorno dopo una delle numerose puntate del trasloco. Era lì, dove era normale che fosse, dove però non volevo più che fosse. È partito anche lui ieri mattina. Ne comprerò un altro, sicuramente lo stesso modello Ikea, perché mi piace moltissimo quell’orologio. Ma non volevo più avere in casa quell’orologio. È strana la testa della gente, lo so. E la mia non fa eccezione.
E poi, a pensarci bene, continuerò a trovare cose sue perché casa è ancora piena dei regali che mi ha fatto e di cose “nostre” che non hanno preso la via d’uscita. Cose che uso tutti i giorni, che tocco e che mi parlano incessantemente della nostra storia finita. Ho provato a limitarne il numero e ad occultarle in fondo ai cassetti, ma farle sparire tutte era impossibile. Del resto non ho nessuna intenzione di eliminarle del tutto. Perché “il nostro amore non merita rancori né stupide rivalse”, e quando le ferite dell’abbandono (e delle relative conseguenze) si saranno rimarginate, quegli oggetti saranno lì a testimoniare un pezzo importante della mia esistenza, un grande amore sincero.
Sto cercando di ridare un ordine e un senso alla mia vita. Sto cercando di ricominciare, partendo da me stesso. Chi mi conosce sa quanto difficile sia la sfida. Ma varrà pur la pena di scendere in campo e giocare, o no?
How happy is the blameless vestal's lot! The world forgetting, by the world forgot. Eternal sunshine of the spotless mind! Each pray'r accepted, and each wish resign'd.
Com'è felice il destino dell'incolpevole vestale! Dimentica del mondo, dal mondo dimenticata. Infinita letizia della mente candida! Accettata ogni preghiera e rifiutato ogni desiderio.
Alexander Pope, dal poema "Eliosa to Abelard" (1717)
|