Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Da qualche tempo, ogni volta che mi capita di leggere La Stampa, giornale torinese che popolarmente ha sempre avuto il significativo nomignolo de "La Busiarda", sono piacevolmente sorpreso. Confesso di leggerla quasi solo perché parla quotidianamente del Toro, in maniera meno oscena di quanto non faccia Tuttosport...
Ma talvolta - negli ultimi tempi - mi capita di leggere lì sopra articoli che condivido dalla prima all'ultima riga. Per esempio, nella gran confusione creata dalla trasmissione di Santoro sul terremoto in Abruzzo, Lietta Tornabuoni scrive oggi un articolo lucido e splendido. Almeno secondo me.
Saranno i 40 anni, ma un po' mi preoccupa il fatto di apprezzare il giornale della famiglia Agnelli. Metteteci pure che sto pensando di comprare una Fiat... Se dovessi dar segni di juventinismo incombente, ve ne prego: sparatemi prima.
Va bene la convivialità, i buoni rapporti da mantenere, il fattore U così amato dal nostro premier... Ma a me 'sta foto mi inquieta moltissimo: se non altro perché vedere Berlusconi più alto di Obama è una falsità degna di una banconota da ventottomilalire (cit.).
Premetto che di Sabrina Ortolani sono un fan, che adoro i suoi quadri e che mi ha dimostrato amicizia vera. Per cui i miei giudizi e le mie considerazioni sono smaccatamente di parte. Premetto anche che non sono un esperto d’arte, e che quindi i miei giudizi e le mie considerazioni nascono unicamente dalle emozioni che i suoi lavori suscitano in me.
Ho visto per la prima volta i quadri di Sabrina nell’aprile 2007, all’inaugurazione della sua personale al Momart Café di Roma. Rimasi immediatamente folgorato dalla bellezza e dalla forza che scaturivano dalle sue tele. Eppure i soggetti preferiti di Sabrina sono macchine agricole ed industriali, automobili in disuso o demolite, betoniere, rottami, paesaggi urbani, fabbriche.
Scarti.
Complementi della nostra vita quotidiana, cose che ci circondano e alle quali non prestiamo quasi mai attenzione. O che, al massimo, ci colpiscono per la loro bruttezza ed insignificanza.
Un soggetto, in particolare, colpì immediatamente la mia immaginazione di romano spesso immerso nel traffico cittadino: la Tangenziale. E in particolare quel tratto della sopraelevata tra Castrense e Passamonti, citato milioni di volte negli Ondaverde di ogni radio, che domina il tratto iniziale della via Prenestina e lo Scalo San Lorenzo. Non so se avete presente. L’unico posto al mondo in cui mi sono sentito ugualmente dominato dall’incombenza di una sopraelevata è stato Bangkok.
Guardando quel quadro, pensai che se c’è un tratto dominante nella pittura di Sabrina è quello di saper svelare agli occhi del mondo la bellezza nascosta delle cose. La sua "Tangenziale 4" va al di là degli strati di nero depositati dai gas di scappamento in decenni di traffico e accende la luce sulla maestosa immensità del groviglio di cemento armato e acciaio e ruggine che forma la nostra tangenziale.
Sabrina Ortolani mette a nudo la bellezza non scontata, la bellezza da scoprire dietro le apparenze, così diversa da quella patinata, banale, omologata, noiosa e volgare che domina l’Italia di oggi. E io, che al tema sono sempre stato particolarmente sensibile, di quell’idea (e di quella tela) mi innamorai perdutamente.
Dopo avere decorato, in forma di fotografia, lo sfondo del mio desktop per oltre un anno, da ieri sera la tela “Tangenziale 4” di Sabrina Ortolani (80x120 cm, olio e bitume su tela, 2006) troneggia nell’ignobile salottino di casa mia, oscurandone il resto con la sua abbagliante bellezza. Senza citare la sindrome di Stendhal (ma, ohibò, l’ho fatto!), quando ho tolto la carta da pacchi che lo avvolgeva e girato la tela verso di me mi è letteralmente mancato il fiato.
Come ho scritto subito dopo a Sabrina, che ringrazio ancora pubblicamente – dopo averlo fatto in privato – per avere scelto me come acquirente della sua "Tangenziale 4", devo al più presto comprare un’altra sua tela per guarire dall’incantesimo... o caderne vittima per sempre.
Sabrina espone al Brancaleone di Roma fino al 17 aprile 2009.
Ogni momento è speciale, perché ogni momento nasce una nuova vita. Ci sono momenti, però, ci sono giorni che si ricordano con maggior piacere, con maggiore emozione. Perché la vita che nasce ti è vicina, ti è accanto, è in qualche modo parte di te.
Oggi è nato Matteo, primogenito di mio fratello Dario e di Laura. Il primo figlio della mia famiglia da quando nacque, nel 1974, mia sorella Cristina. È un giorno speciale, che mi ha riempito di emozione, che spero ricorderò per sempre.
Benvenuto, Matteo, stai attento a tuo zio Tracca e alla musica che ti farà ascoltare. E soprattutto, dai retta alla mamma e diventa romanista, non fare come tuo padre e tuo zio che passano la vita a soffrire appresso al Toro!
Non scrivo da tempo, lo so. Poco entusiasmo, poca voglia, poco tutto.
Sto vivendo una fase da Ctrl+Alt+Canc, sono alla ricerca di un tasto Reset che serva almeno a farmi ripartire nell’illusione di avere cancellato la cache, la memoria a breve termine.
Se non altro perché gradirei una progressione anche lenta ma costante, non influenzata dalla memoria di quanto accaduto in questi ultimi mesi. Un “ricominciare piano piano dalla base e tra le rose lentamente risalire”. Qualche segnale positivo arriva, forse non ci sarà bisogno né della pala per scavare né dell’argano a motore per riprendermi.
Ma non chiedetemi di entusiasmarmi per la segreteria Franceschini del PD, c’è un limite anche al più incosciente ottimismo.
Non ho voglia di tentare analisi politiche, elucubrazioni di varia natura e masturbazioni cerebrali sul percorso che ha portato alle dimissioni di Veltroni da segretario del PD. Non mi interessa e ci sono fior di analisti e commentatori che si cimentano in queste ore sul tema.
Ormai la situazione di Veltroni era diventata insostenibile. Ma proprio per questo pensavo (temevo) che non avrebbe mai mollato. Non per una volgare voglia di tenersi attaccato alla poltrona, ma per quella tenacia che gli va comunque riconosciuta. E invece lo ha fatto. Se n’è andato, senza sbattere porte ma togliendosi qualche sassolino dalle scarpe.
Perché se è vero che le sue responsabilità sono enormi, è altrettanto vero che esse sono condivise dall’intero gruppo dirigente del PD. Paga Veltroni per tutti, come è giusto che sia, perché il segretario è lui. Ma...
Ma se io mi sono allontanato dal PD, dopo le elezioni perse lo scorso anno (nazionali e soprattutto romane), non è stato solo per colpa di Veltroni; non è stato solo per la quasi totale mancanza di atti concreti volti a trasformare principi nobili e condivisibili in reale proposta politica; non è stato solo per l’enorme difficoltà di dare un’identità a un partito che giorno dopo giorno sembrava sempre più un mero cartello elettorale, come tale destinato alla dissoluzione di fronte a una serie di sconfitte alle urne.
Se ho lasciato il PD è stato soprattutto perché non volevo finire chiuso in una delle gabbie correntizie, piene di livore e di risentimenti spesso personali e sclerotizzati, che sono state finora gli unici tasselli visibili di questo assurdo tetris che è il partito democratico. Io sono un democratico, io sono un riformista, io sono un progressista, io sono un laico, e non me ne può fottere di meno di essere riconosciuto, identificato, etichettato, bollato come Veltroniano, o Dalemiano, o Rutelliano, o Bindiano, o Lettiano.
E poi, tornando ai contenuti, la cosa davvero terrificante è che, almeno finora, il PD si è mostrato all’Italia come l’esatta negazione di sé stesso. Non è democratico, anzi è una casa chiusa da enormi chiavistelli. Non è riformista, perché incapace di qualsiasi proposta che abbia attinenza con i problemi dell’Italia. Non è progressista né laico, perché c’è voluto un dramma umano enorme come quello della famiglia Englaro per fargli timidamente rialzare la testa nei confronti della curia vaticana.
La maggior parte dei problemi del PD hanno origine da prima (molto prima) della fondazione di questo partito. Veltroni ha provato a nascondere la polvere sotto al tappeto per cucire insieme le pezze di questo enorme patchwork. Ma si è trovato davanti un sahara di sabbia da infilare sotto uno zerbino. Nun jaa poteva fà.
Se tutta questa crisi dovesse risolversi nell’ennesimo cambio in corsa (fuori Veltroni, dentro D’Alema o chi per esso), nell’ennesimo giro di valzer autoreferenziale, beh, non mi resterà che prepararmi a morire (tra tanti tanti anni, spero) infelicemente berlusconiano.
Caro Beppino, vorrei essere al tuo fianco, guardarti negli occhi, piangere con te, stringerti le mani e ringraziarti per l’altissimo atto di eroismo civile che hai compiuto per tutti noi insieme a tua figlia Eluana. La tua battaglia, come quella di Piergiorgio Welby, come quella di Luca Coscioni, come quella di Giovanni Nuvoli, è uno dei pochi motivi che mi spinge oggi a continuare a vivere in questo paese assurdo, piegato al volere della Città del Vaticano, uno stato straniero che vive dentro di noi come un corpo estraneo, terribile e potentissimo.
Se stasera riesco a sopportare la visione del ghigno satanico di Maurizio Gasparri che ti accusa di omicidio delle spoglie di tua figlia Eluana, che accusa il Presidente della Repubblica di essere il mandante di questo “atto di eutanasia”, se riesco a non imbracciare una mazza da baseball o una roncola è solo grazie al pensiero che in Italia ci sono persone coraggiose e civili come te.
Vivere in Italia avrà un senso fino a quando i Beppino Englaro avranno voce e continueranno ad insegnarci cosa vuol dire rispetto della legge, tenacia, onestà, dignità, amore.
Grazie Beppino, io ti sono riconoscente, tanti italiani ti sono riconoscenti. Sono certo che Eluana è orgogliosa di te e ti ama tanto quanto tu hai amato e ami lei.
Mutatis mutandis, oggi mi sento un po' così, come in questa (a mio avviso) meravigliosa canzone degli Offlaga Disco Pax.
A casa, a casa sono rimaste le sue ciabattine di spugna. Gliele avevo comprate per non farla camminare scalza e dimenticava sempre di portarle. Oggi ho preso una busta gialla e ce ne ho messo dentro una delle due. Francobolli prioritari e domani sarà da lei. Apprezzerà, in fondo è giusto che abbia la metà delle nostre cose. Non eravamo sposati, non vivevamo insieme ma il nostro amore non merita rancori nè stupide rivalse. Sono ferito dall'abbandono, ma quel che giusto è giusto, e una pantofola a testa sarà un bel ricordo per entrambi. Un ricordo dell'amore sconfitto marca Defonseca. Pochi potrebbero vantare un trofeo del genere. Quasi nessuno nel mondo dei non feticisti. Per lo spazzolino da denti sono indeciso: se lo spezzo in due le lascio il tronchetto con le setole o quello con il manico? Mi serve un divorzista... Forse lui può consigliarmi. Non vorrei mai che pensasse che mi tengo i suoi effetti personali in ostaggio. Se torna da me non sarà per questo. E bisogna avere stile anche nei momenti peggiori; non come il mio vicino Sebastiano che quando lei lo ha lasciato si è tenuto tutta la sua collezione di scatole di assorbenti. Erano 3000 scatole: gliele ha rotte tutte. E anche a me con questi gesti incoscenti. Ho deciso; le lascio il pezzo con le setole. Domani, domani glielo mando.
(Offlaga Disco Pax, "De Fonseca", album "Socialismo Tascabile" - 2005)
Voglio essere chiuso in una gabbia con il pavimento di vetro blindato e indistruttibile, con le sbarre di acciaio spesse e a prova di acido o di limetta per le unghie.
Voglio che la gabbia venga sollevata e sospesa appena sotto la linea di transito degli Airbus 300, che passando mi dondolino e mi facciano credere di essere ancora vivo.
Voglio un binocolo per guardare a terra, potente come una zoomata di Google Earth, per vedere il paese che avrò lasciato e che non rimpiangerò nemmeno per un momento.
Voglio un chip impiantato nel cervello, che funzioni come le notifiche di Facebook, che mi sappia avvertire in tempo reale delle nefandezze che stanno per accadere sotto i miei occhi.
Voglio vedere l’ennesimo stupro consumato in casa da un marito rabbioso o in strada da un branco di infami disperati; voglio vedere la “ggente” che invoca il linciaggio (ma, chissà perché, quasi mai per i mariti rabbiosi) e se ne fotte della civiltà; voglio vedere se c’è ancora qualcuno a cui importa qualcosa della legge e del diritto (a parte i radicali); voglio vedere il prossimo immigrato nero o giallo o bianco, africano o asiatico o sudamericano, picchiato e bruciato vivo nella quasi totale indifferenza; voglio vedere quelli che si ostinano a non considerare razziste queste azioni di squadrismo idiota e tossico.
Voglio vedere tutto questo, ma da là sopra, come se fossi al cinema, e pensare che in fondo, nonostante il freddo e le correnti d’aria create dagli Airbus, si sta meglio lassù.
Il caso di Eluana Englaro non conosce fine, così come non conosce fine l'accanimento del Vaticano in una assurda battaglia in difesa di uno stato di morale contrapposto a quello che dovrebbe essere uno stato di diritto.
Al di là di tutte le parole spese più o meno utilmente per raccontare e commentare questa vicenda, mi sembrano totalmente condivisibili le parole di Francesco Paolo Casavola, pubblicate oggi su "Il Messaggero".
Ve ne consiglio la lettura e cinque minuti di riflessione in merito.
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