Io sono un fan degli OfflagaDiscoPax, per cui leggete queste righe sapendo che la mia è, a prescindere, una visione parziale. Sono passati 4 anni dall'uscita di Bachelite, Gioco di Societá è stata un'uscita attesa molto a lungo dal sottoscritto. Attesa ripagata appieno.
GdS è un album bellissimo. Pienamente inserito nella "tradizione" offlaghiana, ma con alcuni segnali di grande novità, specie per quanto riguarda la parte musicale. Carretti e Fontanelli hanno reso ancora piú asciutto il loro suono, dando uno spazio finora mai visto alla ritmica, soprattutto grazie a un uso sapiente ma massiccio della drum machine, contrappunto ideale alla essenzialità dei suoni.
Ci sono pezzi totalmente, completamente ODP, come Respinti all'Uscio, che sembra un'alternate version di Lungimiranza, oppure Parlo da Solo e Desistenza, che evolvono il filone tracciato da Enver e Onomastica. Ma la cosa che mi ha colpito maggiormente, sempre riguardo le musiche, è stata la presenza di atmosfere kraftwerkiane in diversi pezzi, ad esempio in Tulipani, Piccola Storia Ultras, Sequoia, Desistenza. Magari è una suggestione tutta mia, ma ascoltando e riscoltando il cd non potevo fare a meno di ripetermi: "Che bello, sembrano gli Offlaga suonati dai Kraftwerk!".
Citazione a parte per la splendida A Pagare e Morire, che chiude il cd, e per Palazzo Masdoni, che lo apre dopo una breve intro: il lungo finale strumentale non è nuovo nell'opera degli Offlaga, ma in questo caso lascia il tempo di assaporare e assorbire sottopelle la storia di "vitamilitanza" narrata da Max Collini.
Ecco, le storie. Cosa ci narra Max Collini questa volta? In un disco che avrebbe potuto intitolarsi "Affinità e divergenze tra Reggio Emilia e me stesso", il bravo frontman narratore degli ODP ci conduce per mano tra le vie della sua città, come se chi ascolta il disco fosse un amico venuto da lontano, a cui far scoprire Reggio nell'Emilia passeggiando e raccontando storie della propria vita passata, intervallate da confidenze su un presente personale piuttosto ingarbugliato.
Fa eccezione Tulipani, che narra l'epopea di un ciclista olandese che rischiò di morire assiderato dopo una fuga sul Gavia durante il Giro d'Italia del 1988. Già l'idea di un ciclista olandese scalatore è una contraddizione in termini piuttosto clamorosa, il racconto delle sue gesta in quella terribile tappa del Giro è degna del miglior Gianni Mura.
Una piccola nota su una citazione che mi ha fatto felice e mi ha commosso: una frase, tratta da Tannomai, la mia canzone preferita di un gruppo che una ventina di anni fa ho amato alla follia come gli Üstmamó; avere questo amore comune ha confermato ancora una volta le affinità che sento di avere con gli ODP.
Mi ha stupito la scelta di non pubblicare nessuno dei due inediti presentati durante i tour di Bachelite e Prototipo (Isla Dawson e un altro di cui non so il nome), dato che lo spazio - vista la durata del cd di soli 42 minuti - ci sarebbe stato. Ha prevalso la scelta di una fondamentale coerenza stilistica, scelta a mio avviso vincente.
Sono molto curioso di vedere e sentire come suoneranno i nuovi pezzi dal vivo. A chi non li ha mai visti in concerto consiglio di venire al Brancaleone il prossimo 19 aprile (o ovunque vi capitasse di incrociarli). Forse uscirete con la bocca storta, ma potreste incontrare uno degli amori musicali della vostra vita.
Roma è stata paralizzata da una nevicata certamente straordinaria per la città, ma altrettanto certamente non di entità incredibile. A oltre 48 ore dall’inizio della prima nevicata ci sono zone della città in cui le strade restano coperte da blocchi di ghiaccio pericolosi e inconcepibili. Però posso dire che – non sorprendentemente – l’atteggiamento generale della città mi è sembrato molto caciarone (che figo! la neve! oddio che bella Roma tutta bianca!) e molto poco pro-attivo?
Signori, la neve è bella, ma la neve è un problema ed è assurdo pretendere che ogni centimetro quadrato di questa infinita città venga pulito immediatamente dalle autorità pubbliche (comune, provincia, regione, protezione civile ecc. ecc.). Tutti devono contribuire, ognuno per il proprio pezzetto, oppure i disagi saranno infiniti. Non si può pretendere che tutto sia sempre fatto dalle autorità. Non funziona così, cari concittadini.
Io, ieri pomeriggio, mi sono pulito da solo (usando uno scopettone del cazzo il cui manico si è spezzato a metà lavoro) tutte le scale che portano al garage di casa mia, che erano pieni di neve quasi melmosa… Se avesse ghiacciato nella notte, oggi nessuno sarebbe potuto arrivare alla propria auto senza correre il rischio di fracassarsi l’osso del collo. Nessuno me lo ha chiesto, non era cosa che mi competeva, nessuno mi ha detto grazie, ma l’ho fatto perché sono cose che vanno fatte e basta.
Ciò non toglie che anche io – come la maggior parte dei romani, credo – abbia trovato urtante il modo in cui il Sindaco di Roma ha affrontato la questione. Due giorni di inutile e incomprensibile lite col capo della Protezione Civile hanno mostrato secondo me il peggio di questa amministrazione, fatta purtroppo di molta gente supponente e incompetente. Però guardate che l’appello di Alemanno ai romani affinché spalassero anche loro la neve non era del tutto sbagliato. Erano drammaticamente sbagliati il modo e il tono in cui l’appello è stato fatto. Si trattava di COINVOLGERE i cittadini, non comunicare loro con tono sbrigativo e brusco dove andare a ritirare le pale per mettersi a spalare.
Ecco, se io fossi stato il Sindaco di Roma avrei detto a tutti i miei concittadini: "Signori, siamo di fronte a un problema serio. La neve è bellissima e rende Roma ancora più incantevole, ma non possiamo permettere che l’intera città venga bloccata per giorni dalla neve e dal freddo. Noi stiamo facendo ogni sforzo per togliere la neve dalle strade nel minor tempo possibile. La nostra è una città meravigliosa ma enorme, e arrivare da tutti sarà dura. Ce la faremo, ma ci vorrà un po’ di tempo. Nel frattempo voglio chiedere a tutti voi di aiutarci ad aiutarvi e di aiutarvi tra di voi. È importante che nelle ore più calde, quando la neve è morbida, la spaliate davanti la vostra casa, davanti al vostro negozio, in modo da liberare passaggi che non ghiaccino quando arriverà la notte, e con essa le temperature sotto lo zero. Noi ci occuperemo delle strade e anzi vorrei che ci segnalaste quelle che ancora non sono state raggiunte dagli spazzaneve e dagli spargisale, in modo che il vostro aiuto sia ancora più determinante. Noi ce la stiamo mettendo tutta: se ci aiuterete anche voi, faremo tutti insieme il bene di Roma e potremo tutti goderne la bellezza anche in questi giorni di neve.".
Alcune cose importanti si sarebbero dovute mettere su da prima della nevicata, in modo da essere preparati, ma non si tratta di cose impossibili. Me ne vengono in mente alcune: 1) mettere su un numero verde SOLO per la segnalazione delle strade ancora non pulite; 2) mettere su una squadra di gente che si occupasse solo di pianificare gli interventi zona per zona, con un referente in ogni quartiere; 3) fare poi lavorare incessantemente da venerdì notte i mezzi per sgomberare le strade da neve e ghiaccio; 4) inoltre avrei evitato qualsiasi lite o polemica con chicchessia e cercato la massima collaborazione da parte di tutti.
Vorrei provare a mettere in fila i pensieri che via via hanno affollato la mia testa da sabato pomeriggio, anche se non sarà facile e sicuramente cadrò più volte in contraddizione. Parto però raccontando quello che ho visto con i miei occhi.
Sabato ero a pranzo in Via Urbana, a pochi passi da Via Cavour, con un amico arrivato da Siena per un weekend romano. Dopo aver finito di mangiare abbiamo deciso di andare a vedere il corteo sfilare. La polizia aveva già blindato tutti i passaggi lungo il percorso, lasciando solo un piccolissimo varco vicino Largo Corrado Ricci, dove poteva passare solo una persona alla volta sotto gli occhi di celerini piuttosto scoglionati.
Comunque, senza grosse difficoltà, alle 14.30 ero in Largo Ricci, alla fine di Via Cavour, subito prima della grande curva che immette in Via dei Fori Imperiali. C’era sole, faceva caldo, la testa del corteo era a pochi metri da noi e lentamente avanzava. Colori, suoni, tamburi, slogan, facce preoccupate ma tranquille, voglia di far sentire la propria voce. La testa del corteo aveva appena girato l’angolo per concedersi la vista del Colosseo, quando 250 metri più in su, all’incrocio con Via dei Serpenti (uno dei punti maggiormente presidiati dai blindati di Polizia e Carabinieri, dato che lì dietro si trova la casa del Presidente Napolitano e a pochi passi c’è la sede della Banca d’Italia), si sentono alcuni forti rumori e iniziano a levarsi fiamme e una colonna di denso fumo nero. Il corteo prosegue il suo cammino, si crea un vuoto tra chi è già sfilato e i teppisti che stanno dando inizio al pomeriggio di ordinaria devastazione. Io e il mio amico restiamo impietriti a guardare gli incendi (che sono diventati due), le colonne di fumo nero e l’apparente indifferenza a tutto questo sia dell’enorme fiumana umana che forma il resto del corteo sia delle forze dell’ordine, che ci sembra non stiano reagendo in alcun modo.
Alle 15.10 arrivano i pompieri a spegnere le auto incendiate in Via Cavour e dopo pochi minuti il cosiddetto “blocco nero” si presenta ai miei occhi in due momenti: dapprima un ragazzo incappucciato e isolato si scaglia contro un’indifesa pompa di benzina AGIP, colpendola più volte con un’asta di ferro, causando danni visibili ma senza comprometterne in nessun modo la struttura. Un assalto mordi e fuggi, dieci mazzate assestate a vetri e plastiche e via, rientro tra le fila del corteo. Pochi istanti dopo il “blocco nero” arriva in Largo Ricci. Ai miei occhi appaiono come uno schieramento compatto di poche centinaia di persone, intruppati però in maniera quasi militare, come i militanti di Autonomia Operaia che ho visto sfilare tanti anni fa, quando ero ancora a scuola. Quelli incappucciati e vestiti di nero sono però pochi, non più di 100. Due ragazzi molto giovani si fermano a pochi passi da me: aiutati da un terzo già “in divisa”, indossano una felpa nera, anfibi neri e pesanti, un casco da motorino di quelli che a Roma chiamiamo “a scodella” e dagli zaini estraggono mazze, non so se di legno o di ferro. Se avessi avuto un po’ di coraggio avrei preso una delle fioriere che erano accanto a me e gliela avrei scagliata in testa. Avrei voluto gridare loro di andare affanculo, che li odio e che sono delle teste di cazzo, ma mi è bastato incrociare lo sguardo con uno dei due per un secondo per vederci dentro talmente tanto odio e determinazione che ho fatto un passo indietro e sono stato zitto. Il martirio, del resto, non è una mia aspirazione. Pochi istanti dopo il “blocco nero” volta l’angolo e si immette in Via dei Fori Imperiali. Tra loro e i primi manifestanti davanti a loro ci sono almeno 200 metri di distanza. Tra loro e i primi manifestanti dietro a loro ci sono oltre 100 metri di distanza. A pochi metri ci sono i blindati che bloccano fisicamente il passaggio verso Piazza Venezia. Immagino siano pieni di agenti in stato di allerta. Guardo il mio amico e ci chiediamo all’unisono e ad alta voce: “Ma perché non interviene nessuno? Hanno intenzione di lasciarli andare avanti?”. A quel punto era evidente che il “blocco nero” si stava preparando allo scontro e alla devastazione del corteo, della manifestazione, del pomeriggio di sole e lotta, della città. Era evidente che quello stava per trasformarsi nel “loro” pomeriggio. Poche centinaia che annichiliscono 250.000 persone e l’intero apparato di polizia del paese. Tristemente, pieno di pensieri cupissimi, lascio Largo Ricci e mescolato a tanti turisti un po’ spaesati ma per niente impauriti mi metto in fila per passare nuovamente dal piccolo varco presidiato dalla celere; alle 15.45 esco, torno a Piazza Venezia, vado via. Quello che è successo dopo l’ho visto su Rai News a partire dalle 17.45 circa ed è stato narrato infinite volte in questi giorni.
Come dicevo all’inizio, in questi giorni ho pensato tante cose, spesso in contraddizione tra loro. Le metto in ordine senza alcuna pretesa di verità, come puri spunti di riflessione.
1) Io ero in uno dei punti strategici del percorso del corteo; non ho visto intorno a me nemmeno un poliziotto, né in divisa né in borghese (come si fa a riconoscere un poliziotto in borghese? si fa, credetemi, si fa…). In quel momento si erano create tre condizioni tattiche ideali: l’isolamento del “blocco nero” dal resto del corteo; l’allargamento della strada, che poteva favorire la presenza massiccia di polizia e carabinieri pronti all’intervento; la presenza dei blindati che bloccavano l’accesso verso il centro città. Inoltre il “casus belli” c’era già stato (le auto incendiate, il supermercato devastato e le vetrine sfondate a Via Cavour). A mio modestissimo avviso sarebbe bastato schierare uomini in divisa per isolare davanti e dietro il “blocco nero” e mandare un reparto molto preparato ad affrontarli per fermarli prima che la loro presenza, ormai divenuta palese, portasse a tutto quello che è successo dopo. Non ci voleva uno stratega dalla mente raffinatissima, bastava avere giocato qualche volta a “Corteo” (il gioco da tavola). Cosa mi viene da pensare? Che le nostre forze dell’ordine sono ormai ridotte così a pezzi da non sapere più nemmeno addestrare i propri uomini alla gestione di un gruppo di teppisti; che le stesse non sono più in grado di “leggere” gli avvenimenti di un corteo in cui si infiltra una frangia determinata e violenta; che non sanno agire celermente di conseguenza. E lascio aperti tutti i discorsi sulla dietrologia, sul “cui prodest”, sulla presenza o assenza di infiltrati. È ovvio che di fronte a questa gestione scellerata dell’ordine pubblico ci si chieda se essa sia dovuta a connivenza o incapacità. Condivido il timore dell’amico Guglielmo, che ha scritto lunedì: “Quando 800 imbecilli riescono a mettere a ferro e fuoco una città e a far morire alla nascita un movimento, il segnale è che 8000, armati e motivati, si potrebbero prendere un paese. Se non è lo stato che risponde in maniera decisa a questo problema (e la repressione non basta), non può essere nessun altro. Ecco il mio timore, lo stato che ha abdicato alla sua funzione di gestione dell'ordine sociale. Filiamo dritti dritti verso una nuova forma di fascismo.”.
2) La mia reazione istintiva nei confronti del “blocco nero”, l’ho detto, è di rifiuto, rabbia e odio. Perché sono da sempre convinto che la violenza generi solamente reazione e repressione, che chi distrugge vetrine e incendia automobili rappresenti da sempre la migliore polizza assicurativa di chi vuole perpetuare un sistema economico e sociale che arricchisce poche e impoverisce molti, che riversa sulla collettività le follie e i costi di operazioni finanziarie fatte col miraggio di profitti enormi e che invece spesso portano alla rovina nazioni intere senza scalfire né il loro potere né le loro ricchezze. Io sono convinto che la violenza non serva a un cazzo. Ma riprendo le amarissime parole di Alessandro Capriccioli pubblicate domenica sul suo eccellente blog “Metilparaben”: “Volete innalzare barricate, mettere a ferro e fuoco la città, seminare il caos? Be', io sono convinto che i mezzi prefigurino i fini, e quindi penso che comunque non vi servirà a niente: però, perlomeno, scatenate l'inferno perché credete che vi serva a raggiungere un obiettivo, e abbiate la decenza di non smettere finché non lo ottenete. Perché fare le rivoluzioni di due ore e mezza, sospese al calar della sera per togliersi il passamontagna e andarsi a mangiare una pizza, è davvero una cosa da gente piccola, mediocre e meschinella. Date retta, provate con la Playstation. Vi si addice di più.”.
3) Io penso che la violenza di pochi vada saputa bloccare da chi ha costituzionalmente il monopolio della forza (polizia e carabinieri), senza bisogno di leggi speciali che prevedano fermi o arresti per il sospetto di volere partecipare ad azioni violente. Però, a mente un po’ più fredda, voglio sforzarmi di capire cosa spinge gruppi di giovani incazzati a devastare negozi, incendiare auto o a commettere gesti allucinanti come la distruzione di una statua della Madonna o il lancio di petardi contro manifestanti che si ribellano alla violenza. E, posto che non condividerò mai i loro atti, vorrei rendermi conto di perché, all’interno della nostra società, ci siano giovani talmente inferociti da comportarsi così. In questo mi ha aiutato lo straordinario post di Luca Di Meo su Giap!, di cui estraggo poche parole: “Ma poi, torniamo a quei fottuti bastardi: da dove sono spuntati, chi cazzo li ha chiamati? (…) Merde. Sterminiamoli tutti. Fotografiamoli e facciamoli arrestare. Ecco, io invece direi che è il caso di ragionarci su. Perchè c’è una storia. Ci sono cause che vengono da lontano, e altre che interagiscono sulla contingenza immediata. Perché i tempi sono lunghi, a differenza di ciò che ci fanno credere, e spesso i conti si pagano in differita. Ma si pagano sempre.” Io non ho risposte, ovviamente. Ma voglio continuare a pensare da uomo libero che crede alla democrazia. E pensare a come le cose si possano gestire diversamente.
4) Sarò naif, sarò un quarantenne imborghesito privilegiato che ha un lavoro a tempo indeterminato, un contratto da dirigente e uno stipendio da classe media agiata. Sarò anche uno che non sa cosa significa l’assenza di prospettive e di futuro, che non ha mai avuto un contratto a progetto, interinale o accessorio e che non è mai stato licenziato con un sms il giorno in cui “si scade”. Ma a me non piace affatto questo mondo governato solo dal FMI e dalla BCE; non piace affatto questa politica impotente e attenta solo alla difesa dei propri privilegi; non piace affatto il divario sociale divenuto ormai baratro; a me non piace quasi nulla di quello che ho quotidianamente attorno. Credo però che l’unica forma di lotta efficace sia quella non violenta, spinta anche fino a durissimi sacrifici individuali per il bene collettivo. Credo nella forza dei numeri, nella necessità del coinvolgimento di grandi masse di persone affinché le lotte abbiamo un impatto. Credo all’impossibilità da parte del potere di ignorare una lotta collettiva durissima e non violenta. Sono un illuso? Probabilmente sì. Ma nessuno mi leva dalla testa che se l’incredibile marea umana che ha occupato Roma sabato pomeriggio avesse deciso che nel momento della massima estensione del corteo tutti si fossero fermati, si fossero seduti a terra e non si fossero più mossi, a oltranza, bloccando veramente in maniera pacifica e non violenta l’intero centro della città di Roma, allora sì che la loro voce si sarebbe sentita e avrebbe fatto in un istante il giro del mondo. Voglio vederli i celerini costretti a spostare a forza 250.000 persone in lotta, inermi e sorridenti. Io credo che in brevissimo tempo una tale manifestazione avrebbe scatenato una gara di solidarietà per portare cibo ed acqua a tutti, che nel giro di poche ore tante altre persone avrebbero seguito il loro esempio dando vita alla prima grande lotta non violenta della storia italiana. E di fronte a tutto questo qualcuno avrebbe dovuto dare risposte vere, che sarebbero andate oltre le forse inevitabili manganellate e le cariche con getti d’idrante. Qualcuno si sarebbe fatto male, ma di fronte alla immobile determinazione di un popolo in lotta la polizia non avrebbe potuto continuare a picchiare per sempre. Del resto, sabato scorso si sono fatti male in parecchi, senza avere ottenuto assolutamente nulla. Nulla. Purtroppo io non vedo in giro né un Gandhi capace di ispirare una simile lotta né una determinazione collettiva così forte da creare una massa critica davvero disposta a mettersi in gioco. I quattro gatti che “occupano” il prato davanti alla basilica di Santa Croce in Gerusalemme mi fanno tenerezza. Almeno a Puerta del Sol riuscivano ad occupare tutta la piazza e sono stati lì per mesi interi. Evidentemente non siamo un paese da rivoluzioni, né violente né tanto meno pacifiche… E solo una rivoluzione non violenta, a mio modesto avviso, potrebbe riuscire a cambiare qualcosa in meglio senza scatenare una reazione che a colpi di leggi speciali ci porterebbe dal buio del quasi ventennale governo “ad personam” berlusconiano a qualcosa di molto, molto peggio.
Ho deciso: trasformerò questo blog più abbandonato di un cane sull’autostrada in una testata editoriale registrata, e mi prenderò la briga di infamare chiunque mi stia anche vagamente sulle palle.
Mi faccio mandare botte da 12.500 euro di multe a ripetizione, non le pago manco cor cazzo e se vogliono pignorarmi il televisore vecchio di 8 anni e una Bravo GPL vecchia 19 mesi e 56.000 km facciano pure… Mi arrestassero se vogliono, avrò finalmente un motivo valido per non presentarmi più al lavoro quotidianamente (del resto potrei gestire gran parte delle incombenze col telelavoro dalla mia cella di Rebibbia, così resterei anche in zona e le riunioni con i miei capi o con il mio staff potrei organizzarle nel parlatorio o durante l'ora d'aria…).
Da qualche tempo i miei pensieri si fanno sempre più estremisti, la voglia di menare le mani aumenta spaventosamente e devo sfogarla in piscina o (prossimamente) sul basso elettrico. E certi pomeriggi il mio cervello si spegne e comincia a popolarsi solo di slogan: “Se vedi un punto nero…” schiaccialo! “Il proletariato non ha nazione….” ma nemmeno restodelcarlino… “Ma che Democrazia, ma che Cristiana…” e pensare che ci manca persino lei.
Al di là delle percentuali sul numero complessivo dei voti, sono 2 i dati sui referendum che mi impressionano: il numero assoluto di votanti e la percentuale dei SI sul totale del corpo elettorale. Riporto le cifre assolute pubblicate dal Ministero dell’Interno, complessive Italia ed estero. Le percentuali assolute le ho calcolate io.
Aventi diritto al voto (Italia ed estero): 50.417.952
Referendum 1, servizi pubblici locali. SI: 25.935.372 (cioè il 51,44% degli aventi diritto) NO: 1.265.495
Referendum 2, tariffa servizio idrico. SI: 26.130.637 (cioè il 51,83% degli aventi diritto) NO: 1.146.639
Referendum 3, energia nucleare. SI 25.643.652 (cioè il 50,86% degli aventi diritto) NO 1.622.090
Referendum 4, legittimo impedimento. SI 25.736.273 (cioè il 51,05% degli aventi diritto) NO 1.462.888
In tutti i 4 casi, quindi, oltre la metà della popolazione italiana con diritto di voto, inclusi coloro che vivono all’estero, ha votato SI. Anche sul nucleare (e qui Fukushima ha senz’altro influito). Anche – e soprattutto – sul legittimo impedimento. Non posso smettere di pensare che sia questo il dato politico più forte e clamoroso.
E non riesco ad essere d’accordo con Di Pietro, quando dice che non è il momento di chiedere le dimissioni del governo, dato che il SI è stato espresso anche da tanta gente che ha votato per il centrodestra nel 2008. Secondo me il governo Berlusconi dovrebbe dimettersi PROPRIO perché tanta gente che nel 2008 ha messo la croce su “Berlusconi presidente” oggi ha votato SI per l’abolizione della legge-simbolo della politica ad personam berlusconiana. Punto.
Io non mi faccio illusioni: so bene che trasformare questa corrente di energia ed entusiasmo in una proposta di governo coerente, accettabile e potenzialmente maggioritaria sarà difficilissimo. Ma è questo il compito che spetta ai partiti del centrosinistra, PD in testa. Ascoltare la voce della gente, recepirla e trasformarla in azione. Dopo questo mese di emozioni e vittorie insperate ci credo un pochino pochino di più. Sperem ben.
Sono tuttora incredulo di fronte al risultato elettorale di ieri sera. Sia per quello che riguarda Milano che per quello che riguarda Napoli. A Milano è successo qualcosa di inimmaginabile fino a ieri pomeriggio, almeno per me. Io speravo flebilmente nel ballottaggio, ma lo immaginavo a ruoli invertiti (48/49% per la Moratti, 41/42% per Pisapia). E già mi pareva fosse un sogno proibito. Invece esce fuori la Milano che non ti aspetti, la Milano stanca di 20 anni di amministrazione di destra e schifata dalle volgari bugie del sindaco uscente nei confronti del suo avversario. Adesso lo schieramento a favore di Pisapia è carico di energia per fare una grande, vera campagna in vista del ballottaggio. Tutta l’Italia che vuole un cambiamento guarderà a Milano tra due settimane e si stringerà intorno a Pisapia. Sarà durissima, ma stavolta, davvero, si può fare!
Due righe le voglio dedicare a Mangoni. 1068 preferenze per un neofita della politica, alla prima esperienza elettorale, sono tantissime. Quasi un trionfo. Non so se Mangoni siederà mai a Palazzo Marino, ma la sua performance è stata fantastica, degno dei suoi strepitosi balletti intorno al palo sul palco degli Elii. Escludendo la lista del PD, Mangoni è il 7° candidato più votato dell’intero schieramento progressista. Ha preso più voti di Emma Bonino, per intenderci. Io purtroppo non l’ho potuto votare, ma la notte scorsa, mentre seguivo lo spoglio e la sua cavalcata verso le 1000 preferenze, mi ha preso un entusiasmo che mi ha fatto sentire come se fossi lì a Milano a trepidare con lui. Grande Mangoni!
Napoli. Napoli è il vero banco di prova. Vincere a Napoli con De Magistris è possibile, se il PD (e soprattutto gli elettori del PD) riusciranno a cogliere l’incredibile occasione di costruire finalmente un’alleanza di sinistra che non faccia giochetti a tavolino ma si presenti con facce nuove, onestà e serietà. Ma soprattutto che torni a fare politica in strada, parlando con le persone e cercando di capirne problemi ed esigenze. A Milano il PD, dopo la sconfitta di Boeri alle primarie, lo ha capito e ha contribuito in maniera determinante al successo di Pisapia (non a caso è arrivato praticamente pari al PDL). A Napoli no, e il povero Morcone ha preso una pesantissima roncolata in faccia per demeriti non suoi. Adesso è il momento del riscatto. Adesso – indipendentemente dagli apparentamenti ufficiali – sostenere con ogni forza la candidatura di De Magistris è preciso dovere di ogni democratico partenopeo. Senza calcoli, senza contrattazioni. Ne sarà capace il PD?
Era tanto tempo che non mi accadeva di andare a letto col sorriso dopo una serata di risultati elettorali. Che stia veramente cambiando il vento?
Ho scoperto i Musica per Bambini (MxB) da poco tempo, grazie alle Orgiobimbe e agli altri amici che li hanno voluti alla recente Sesta Convention Autoconvocata delle Fave (il cui acronimo non era SCAF, ma sopravvoliamo).
Vederli all’opera dal vivo è stata una delle “prime volte” artistiche più coinvolgenti e sorprendenti della mia vita. Con mezzi tecnici precari e in una situazione palesemente fuori contesto (un megapub in stile bavarese nel centro di Prato, pieno fino all’inverosimile di gente in attesa del concerto della ottima tribute band degli Elio e le Storie Tese) sono riusciti a farmi stare un’ora a bocca aperta, lasciandomi con la voglia di ascoltarli di nuovo e perdermi nelle loro storie fantastiche.
E’ successo poche settimane dopo a Roma, in una bella serata al Circolo Arci Fanfulla, al termine della quale ho chiesto a Manuel Bongiorni, che di MxB è l’anima metallica della marionetta, perché non avessero mai con loro copie dei loro 4 album da vendere dopo lo spettacolo. “Eh, li abbiamo finiti”, m’ha detto nel suo splendido accento piacentino, aggiungendo che non è che abbiano mai venduto più di 1.500 copie di ogni disco realizzato. “Oh, ma se cerchi bene puoi scaricarteli dal mulo o dal torrente, sai?” ha aggiunto. Cosa che, autorizzato dall’artista, ho fatto immediatamente.
Ora, io sono un neofita dei MxB e ne sono talmente entusiasta da averne certamente una visione distorta, ma immaginare che dischi di questa grandezza artistica possano vendere appena 1.500 copie mi ha confermato per l’ennesima volta che l’industria della cultura in questo paese ha l’elettroencefalogramma più piatto del paesaggio d’Olanda. Vi consiglio di cercare ed ascoltare tutti i dischi di MxB, ne vale davvero la pena e raccontano un’evoluzione artistica sorprendente.
Nelle poche righe che seguono voglio spendere qualche parola per “DioControDiavolo ovvero La Girella del Guitto” (DCD), ultimo lavoro finora pubblicato da Bongiorni e compari.
DCD è un concept album visionario e talmente coinvolgente da metterti il desiderio addosso di ascoltarlo in continuazione per cercare di carpirne ogni nota e ogni parola. La narrazione di storie legate ai sette peccati capitali e al loro dominio sull’animo dell’uomo si svolge in un susseguirsi di brani straordinariamente potenti sia dal punto di vista musicale (un misto di elettronica e potentissimo metal d’avanguardia che sinceramente farebbe impallidire mostri sacri di entrambi i generi) che dal punto di vista lirico. Anche per quanto riguarda l'aspetto meramente tecnico, il disco è realizzato in maniera straordinaria, con un impegno, un’attenzione ai dettagli e una pulizia sonora degno di produzioni milionarie.
Quasi tutti i brani sono piccoli capolavori, che rifulgono e vivono di vita propria al di là del contesto in cui sono inseriti. I miei preferiti (attenzione, l’elenco che segue è lungo) sono: Cose da non fare al gatto, Il canto del bidone, Insopportabili limiti umani (tre brani consecutivi, 8 minuti tra i più belli che io abbia mai sentito in un disco), Morto vivo, Oltretombola, Una carriola di carriole (altro trittico stupefacente), Lettere dall’armadio, Non aprite quel pollaio, O Caramellaio, Disputa di sputi.
La prossima volta che vedo Manuel voglio chiedergli perché nelle sue storie ci sia sempre una nota cupa e una palese ossessione per il tema della morte, anche perché sto amando moltissimo il suo modo di raccontarla, esorcizzarla e persino sublimarla. Se un giorno avessi un figlio o una figlia, mi piacerebbe passarci assieme tanti pomeriggi ascoltando e cantando le canzoni di MxB, spogliandomi del mio essere adulto e ponendomi esattamente al suo stesso livello, con la capacità di aprire la mente alle emozioni senza bisogno di sostanze psicotrope. Sono sicuro che ci divertiremmo un mondo.
MusicaPerBambini DioControDiavolo ovvero La Girella del Guitto 2008, Trovarobato, Bologna.
Questa mattina mi sono svegliato stanco e desideroso di altro sonno. Ma ero di buon umore, i sorrisi e l’allegria di À ieri sera mi sono rimasti dentro come un sorso di vin brulé davanti ad un falò in una fredda notte d’inverno.
All’improvviso, tra Fidene e la Bufalotta, ho avuto una gran voglia di ascoltare e cantare una canzone che da sempre emerge quando sto facendo un bilancio di assestamento della mia esistenza. Come sempre, questa sensazione arriva improvvisa, inaspettata e quasi fastidiosa, come un “ruttino represso in ascensore” (cit.). Non so ancora cosa mostreranno i libri contabili del Tracca aggiornati a oggi, ho parecchie voci di ammortamento che non mi sono del tutto chiare.
Però la canzone era sul mio ipod e quindi l’ho messa su e me la sono cantata nella lenta marcia tra Via Fucini e Viale Kant. È una canzone ascrivibile al genere “nostalgia di casa di un rocker perennemente in giro per il mondo”; ce ne sono centinaia, mi vengono in mente su due piedi “Coming Home” degli Scorpions e “Home Sweet Home” dei Motley Crue (la mia rozza subcultura di metallaro anni 80 che riemerge…). Il pezzo in questione appartiene sempre a quel periodo e non è certamente il pezzo migliore scritto dagli Iron Maiden, anzi è decisamente commerciale rispetto alla loro produzione antecedente il 1986. Ma il refrain del pezzo mi ha sempre scosso delle corde interiori che “neanch’io so come” (ari-cit.). Tradotto rozzamente dice:
“Allora, cerca di capire: non sprecare il tuo tempo rimpiangendo quegli anni perduti! Solleva il viso, lotta e renditi conto di stare vivendo i tuoi anni migliori!”.
capita, talvolta nella vita, di soffrire di qualche idea fissa, ingigantita da situazioni difficili. Abbiamo il dovere di parlarne e di prendere iniziative adeguate.
Non possiamo continuare a ignorare la destra, a erigere steccati intellettualoidi che la confinino in ruoli di mai dimostrata sudditanza. Le capacità di una destra moderna, liberalmente articolata, collaborativa, attenta a nuove e vecchie, concrete esigenze, non vanno più ignorate ma riscoperte, valorizzate.
Io, ad esempio, con la destra mi ci pulisco il culo.
Oggi è una di quelle giornate d'inverno in cui il clima ad Amsterdam è mite ed implacabile. Mite perché tira vento da sud, per cui la temperatura è decisamente più sopportabile rispetto a una normale giornata di inizio febbraio. Implacabile perché il vento è così forte e violento da rendere difficile l'equilibrio di umani e cicli, schiaffeggiati a tradimento in un volteggiare di sciarpe e berretti. In queste giornate lo splendido paesaggio urbano centro-amsterdammer si arricchisce di un elemento rumoroso, affascinante e spaventoso. Il cielo è infatti continuamente solcato da giganteschi aeroplani che seguono l'unica rotta possibile verso il vicino aeroporto di Schiphol in queste condizioni di vento. Tagliano la città da nord a sud, muovendosi così lentamente da apparire come astronavi in perfetta sospensione. E guardandoli ti pare impossibile che non possano appoggiarsi sui tetti delle ricche case del Grachtengordel facendo scendere i passeggeri a scivolo sui tetti spioventi e le facciate inclinate.
Trovo rifugio in uno dei miei caffé preferiti, sopra una chiusa dirimpetto alla Torre di Montalbano e penso a quanto io senta ancora mia questa città, dopo tutti questi anni. Kopje koffie, graag...!